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Evitiamo di utilizzare il federalismo per… secondi fini

Onestamente non capisco perché in Italia appena si vede un traguardo c’è la tentazione di tornare indietro. Esempi se ne possono fare a bizzeffe: dalle politiche sull’immigrazione a quelle sul lavoro o sulle pensioni. L’ultimo riguarda però il federalismo: quel federalismo di cui persino la sinistra si è impossessata, venendo a rimorchio di una nuova cultura politica cristallizzata nell’asse Berlusconi-Bossi.
Il guaio però è che a voler fare macchina indietro non è la sinistra ma un’ala minoritaria (culturalmente ancor prima che numericamente) del Pdl. Perché? Boh, vallo a capire. Risento parlare di coesione sociale, espressione che fa il paio con “sussidiarietà” cioè un termine che usavano nell’Ulivo quando volevano criticare la riforma costituzionale varata dall’allora governo Berlusconi di cui Fini era vicepremier.
Mettiamocelo in testa: non esiste un federalismo che non rispetti il principio della sussidiarietà. E’ in re ipsa. Anzi, mi verrebbe da dire che il federalismo esalta la sussidiarietà perché l’erogazione dei servizi tanto più è vicina e controllabile dai cittadini tanto più è migliore. La sanità non funziona? La monnezza non viene raccolta? Il cittadino “licenzia” l’amministratore, il quale non può scaricar barile.
Al netto di tanti paroloni, il federalismo non è nient’altro che l’organizzazione di uno Stato più snello, più moderno e più efficiente. Sento dire: col federalismo si moltiplicano i costi. Vero, se l’impianto dell’organizzazione statale resta invariato. Ma così non può essere. Primo, perché è l’opposto di uno stato federale. Secondo, perché – ragazzi miei – così la baracca non regge.
Il sistema economico e produttivo di questo paese si regge sulla fatica dei piccoli e dei medi, di chi è capace di coniugare mani callose e cervello fine. La buon volontà però non basta: occorre uno Stato leale. Leale nel non produrre sprechi, leale nel fisco, leale nell’erogazione di servizi. La visione fiscale della sinistra (perché certe cose vanno ricordate altrimenti si rischia di non capire dove sta la virtù) non è stato solo un incubo di un tempo, ma è stata una riforma che mise il tappo allo sviluppo dei distretti.
L’esaltazione del patto federalista, dove periferia e centro si combinano con sincronia redditizia, può solo produrre vantaggi a un paese che ahinoi è ancora imballato. Ci vuole il coraggio di scegliere un senso di marcia e non tentennare ogni cinque minuti. La scommessa del federalismo non è il prezzo da pagare a un alleato, ma è una delle scommesse della Seconda repubblica. Evitiamo di flagellarsi con ripensamenti che sanno solo di melina. Cioè l’opposto di una classe politica responsabile.
 

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