
L’artista, e intendo proprio di Morgan, arrivato al successo perché davvero meritevole dell’interesse che si rivolge a questa categoria, dovrebbe sempre tenere in mente il tempo trascorso a scegliere una nota, o una parola piuttosto che un’altra.
Nella comunicazione tra soggetti infatti il messaggio arriva sempre, e soprattutto quando esso è veicolato da un mezzo verso terzi, il “peso” che questo messaggio può assumere non può essere soggetto a superficialità.
Detto ciò, l’eccentrico romantico leader dei Blu Vertigo, al secolo Marco Castoldi, non va demonizzato, tanto più che si è affrettato a chiarire che le sue affermazioni non erano certo un inno alla droga ma l’ammissione di un problema che sta cercando di risolvere.
Si è affrettato a comparire nel salotto più processuale della Tv italiana, Porta a Porta, recitando mea culpa, con dignità e senza mai uscire dal suo personaggio, Morgan: brillante, sfrontato, contraddittorio, indifeso, colto, esagerato.
Personaggio che chiaramente non esiste, nel senso che come poche volte accade, Marco Castoldi è Morgan, e Morgan è Marco Castoldi: combaciano perfettamente, non esiste alcun alter ego.
In quest’ottica la partecipazione al Festival di Sanremo potrebbe essere un’occasione per ribadire il messaggio di condanna, l’esclusione invece non avrà altro esito che punire la parte migliore di Morgan: il musicista.
Eviteremmo inoltre di trasformare, il non più ragazzino Castoldi, in un “riabilitato mediatico” che balza di canale in canale in una sorta di espiazione pubblica a beneficio esclusivo dell’audience. Non è di questo che ha bisogno. E francamente neppure noi.