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Cosa c’entra Draquila con la cultura?

Una scelta che ha fatto tanto, forse pure troppo, rumore quella del ministro Bondi. Che ha deciso di disertare Cannes, esprimendo tutto il suo dissenso e rincrescimento (legittimi) per la proiezione del film Draquila.
L’esponente del Popolo della Libertà è tornato oggi sul caso. Intervenendo sul Giornale: “Ciò che mi interessa in questo momento – ha affermato Bondi – è chiedere che cosa c’entra un film di questo genere con la cultura? E perché un italiano e anche un ministro non dovrebbero indignarsi per la proiezione ad un importante festival cinematografico di un documentario che offre un’immagine distorta del nostro Paese? Infine: è possibile interrogarsi sul tipo di cultura che in Italia produce questo genere di film?”.
“Se uno avesse la bontà di analizzare la recente produzione italiana – si legge nell’articolo pubblicato dal quotidiano milanese – si accorgerebbe che le storie raccontate al cinema rappresentano solo e in modo ossessivo la società in disgregazione, la famiglia in rovina, le relazioni più difficili e insensate, ma senza neppure quella pietà e ironia che avevano fatto grande la commedia degli anni Sessanta. Alla bonaria stigmatizzazione dei costumi di quegli anni splendidi del nostro cinema si è sostituita la rabbia, il cinismo della rappresentazione, la tracotanza dell’ideologia. Per questo motivo, nessun regista sa fare più la «commedia all’italiana», né quel grande cinema corale che fu il neorealismo dove le vicende più umili acquisivano un senso collettivo”.
Secondo il ministro, il nostro cinema dovrebbe prendere ad esempio quello americano. Da emulare per il suo sguardo epico: “Intendendo per «epica» quel genere letterario, un tempo solo della poesia, per mezzo del quale tutti i popoli hanno tentato di conservare la memoria delle proprie radici per trasformarla in patrimonio comune”. Perchè gli americani sono capaci “di fare film che innalzano i sentimenti, aprono il cuore e elevano la mente a grandi ideali senza per questo cadere nel sentimentalismo e nella retorica”.
“Cosa che non appartiene – conclude Bondi –  agli ultimi decenni del nostro cinema, pieno di pessimismo e mestizia, incapace di raccontare grandi storie e grandi uomini (che pure esistono anche da noi), sempre alle prese con l’infelicità e le recriminazioni di un’Italia che viene rappresentata solo con il luogo della volgarità e della bruttura e del ladrocinio”.

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