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Con gli occhi chiusi

Con gli occhi chiusi è uno dei romanzi più importanti di Federigo Tozzi.
Scritto nel 1913 e pubblicato nel 1919, si presenta come un’opera letteraria in grado di rompere qualsiasi vincolo spazio  temporale, facendo della propria autobiografia non una semplice strategia narrativa – con la pena di precipitare in un improduttivo narcisismo – ma come l’unico rimedio ad una storia individuale ansimante, manchevole, indefinibile.
Così il conflitto con il padre, la morte della madre, la difficoltà da parte del personaggio principale Pietro di imporsi sulla natura cinica e amorale, rivela l’urgenza di sottoporre all’analisi del lettore la coscienza di uno scrittore immerso nella nevrosi: “Pietro, gracile e sovente malato, aveva sempre fatto a Domenico un senso d’avversione: ora lo considerava, magro e pallido, inutile agli interessi; come un idiota qualunque! Toccava il suo collo esile, con un dito sopra le venature troppo visibili e lisce; e Pietro abbassava gli occhi, credendo di dovergliene chiedere perdono come di una colpa. Ma questa docilità, che sfuggiva alla sua violenza, irritava di più Domenico. E gli veniva voglia di canzonarlo.”
Pietro pseudonimo di Federigo, sembra trovare riparo nell’amore per Ghísola, caratterizzato da un lungo inseguimento, guidato da un tremendo gioco di seduzione.
Egli non otterrà nessun successo: non terminerà gli studi, rimarrà vincolato alla realtà nella quale è cresciuto, convinto di poter sposare quella donna troppo perspicace; compiuta sintesi di un mondo dove l’inettitudine, la debolezza e l’illusione dell’amore per l’amore non trovano protezione:  “Vi sono esseri che non chiedono nulla  a nessuno e rinunziano a tutto; e , non essendo rispettati come gli altri, pare che di loro se ne possa fare quel che si vuole. Perciò quel che riguarda gli altri lo trovano antipatico. Se qualcuno gli ama, non vogliono cambiarsi; chiedendo che cosa questo bene esiga. E allora lo evitano”.
La presenza dei personaggi perdenti nel romanzo renderà il lavoro di Tozzi innovativo, in contrasto con ogni prospettiva ideologica fondata sull’elogio della “natura” umana. Non è più accettabile il superomismo ottocentesco o il socialismo, come anche il cattolicesimo o l’ateismo, perché sono soltanto dei tentativi estetici ed etici incapaci di impadronirsi del reale e più di ogni altra cosa si presentano inadeguati per sradicare la cattiveria dalla natura umana.
Federigo Tozzi conclude il romanzo con un risveglio, con l’apertura degli occhi di Pietro come un disincanto, quasi volesse impulsivamente esorcizzare e rimuovere tutto ciò che è stato della sua vita: incluso Isola(Ghísola).
E dietro quegli occhi si nasconde un finale non pienamente approvato dagli scrittori del suo tempo, ma non per questo più volte modificato; confermando da una parte il rifiuto esclusivamente razionale, e quindi non pratico, della fatalità del destino con le sue leggi indeducibili.
Dall’altra parte l’epilogo della costante instabilità di Tozzi, coraggiosamente mostrata nei suoi romanzi: ossia l’incapacità di agire e di attribuire una forma alla sua esistenza, esito di un’insanabile immaturità.

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