I soliti maestri di salotto, di buon gusto e di dizione avranno già liquidato a modo loro la faccenda: Zalone, che con il suo “Che bella giornata” ha superato due colossi del cinema contemporaneo come Avatar ed Harry Potter, è solo l’ennesimo fenomeno mediatico da baraccone.
Un paio di anni spremuti a dovere (tra film, filmetti, festival, spot e ospitate) e anche lui farà la fine di Costantino e Belen. Usa e getta, per dirla in parole povere. Come una gigantesca bolla di sapone che nasce e muore nello stesso istante. Dopo aver prodotto spettatori e quattrini.
Soluzione sin troppo comoda e semplicistica. Checco, come tutti gli altri, sfrutta il suo grande momento, ma non è un personaggio qualsiasi. E’ vero: la gloria non dura mai in eterno (vedi la parabola discendente del cinepanettone), ma il comico barese, statene certi, lascerà il segno. Più del fondoschiena da favola dell’argentina e degli occhi di ghiaccio del tronista di punta di Maria De Filippi.
Questo ragazzotto pugliese, simpatico, cattivo, irrispettoso e irriverente, ha qualità rare. Ha innanzitutto il dono sacro della leggerezza. Riesce, con la sua vera o presunta superficialità, a rompere continuamente gli schemi col semplice gusto di farlo. Senza pretese moralistiche, senza doppi fini. Senza – e qui sta il vero miracolo italiano – faziosità.
Checco Zalone se ne frega. Trasgredisce e distrugge ogni regola con la sfrontatezza di chi non ha nulla da guadagnare o da perdere. Nel suo ultimo film ne ha per tutti: la Chiesa, le parentopoli, il terrorismo islamico, il Sud, l’esercito. Roba da polemiche roventi. Ma il suo è un politicamente scorretto autentico. Che non sfocia mai nel qualunquismo, perché l’obiettivo è primordiale e banale: far ridere.
Senza pretese pedagogiche, lontano dai deliri di onnipotenza di quegli artisti o presunti tali amati dalla bella società per il loro impegno politico, per la difesa dell’ambiente, per la lotta alle ingiustizie del pianeta. Truppe cammellate di antiberlusconiani – per convenienza col cuore a sinistra – capaci di monopolizzare negli anni la scena. Gente che, a furia di crederci, ha perso per strada proprio quella sana e allegra follia, rimpiazzandola con tonnellate di retorica e demagogia.
Bravi a conquistare la critica che conta e le amicizie giuste (mettendo al riparo la carriera) meno, molto meno, a fare il loro mestiere, incapaci, a causa della connivenza con il potere culturale, di smontare a fior di battute quello che una volta si chiamava sistema. Perché sono loro il sistema.
Lo scorso aprile, dopo uno spettacolo di Checco trasmesso da Canale 5, Aldo Grasso tuonava sul Corriere: “I comici veri esistono ancora, non si sono dati tutti alla politica”.
Zalone, sottolineava Grasso, non confonde il pubblico con il popolo. Non si sostituisce al malcapitato leader progressista di turno. Non ha manie di grandezza. Non sforna sermoni, non vuole farci aprire gli occhi e le orecchie dinanzi al “regime”. E questo basta e avanza per meritarsi i nostri più sinceri ringraziamenti.
Un paio di anni spremuti a dovere (tra film, filmetti, festival, spot e ospitate) e anche lui farà la fine di Costantino e Belen. Usa e getta, per dirla in parole povere. Come una gigantesca bolla di sapone che nasce e muore nello stesso istante. Dopo aver prodotto spettatori e quattrini.
Soluzione sin troppo comoda e semplicistica. Checco, come tutti gli altri, sfrutta il suo grande momento, ma non è un personaggio qualsiasi. E’ vero: la gloria non dura mai in eterno (vedi la parabola discendente del cinepanettone), ma il comico barese, statene certi, lascerà il segno. Più del fondoschiena da favola dell’argentina e degli occhi di ghiaccio del tronista di punta di Maria De Filippi.
Questo ragazzotto pugliese, simpatico, cattivo, irrispettoso e irriverente, ha qualità rare. Ha innanzitutto il dono sacro della leggerezza. Riesce, con la sua vera o presunta superficialità, a rompere continuamente gli schemi col semplice gusto di farlo. Senza pretese moralistiche, senza doppi fini. Senza – e qui sta il vero miracolo italiano – faziosità.
Checco Zalone se ne frega. Trasgredisce e distrugge ogni regola con la sfrontatezza di chi non ha nulla da guadagnare o da perdere. Nel suo ultimo film ne ha per tutti: la Chiesa, le parentopoli, il terrorismo islamico, il Sud, l’esercito. Roba da polemiche roventi. Ma il suo è un politicamente scorretto autentico. Che non sfocia mai nel qualunquismo, perché l’obiettivo è primordiale e banale: far ridere.
Senza pretese pedagogiche, lontano dai deliri di onnipotenza di quegli artisti o presunti tali amati dalla bella società per il loro impegno politico, per la difesa dell’ambiente, per la lotta alle ingiustizie del pianeta. Truppe cammellate di antiberlusconiani – per convenienza col cuore a sinistra – capaci di monopolizzare negli anni la scena. Gente che, a furia di crederci, ha perso per strada proprio quella sana e allegra follia, rimpiazzandola con tonnellate di retorica e demagogia.
Bravi a conquistare la critica che conta e le amicizie giuste (mettendo al riparo la carriera) meno, molto meno, a fare il loro mestiere, incapaci, a causa della connivenza con il potere culturale, di smontare a fior di battute quello che una volta si chiamava sistema. Perché sono loro il sistema.
Lo scorso aprile, dopo uno spettacolo di Checco trasmesso da Canale 5, Aldo Grasso tuonava sul Corriere: “I comici veri esistono ancora, non si sono dati tutti alla politica”.
Zalone, sottolineava Grasso, non confonde il pubblico con il popolo. Non si sostituisce al malcapitato leader progressista di turno. Non ha manie di grandezza. Non sforna sermoni, non vuole farci aprire gli occhi e le orecchie dinanzi al “regime”. E questo basta e avanza per meritarsi i nostri più sinceri ringraziamenti.
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