“Io sono per fare uscire da questa assemblea una figura eroica, i veri eroi moderni, gli insegnanti che inseguono il disagio sociale in periferia, lottano contro la dispersione, mentre la Gelmini gli rompe i coglioni”.
Bersani c’è. Evviva Bersani.
In un monotono sabato di primavera, il segretario del Partito Democratico prova così ad uscire dal tunnel.
E merita comprensione. Perché ci vuole un fisico bestiale per guidare questo Pd. Ci vuole un fisico bestiale per sopravvivere all’eterno e logorante dualismo Veltroni – D’Alema, a un Di Pietro che sa rubargli continuamente la scena con quei modi e quei discorsi senza troppi fronzoli. Poi ci si è messo pure Santoro, vero leader e guida spirituale della sinistra italiana, bravissimo a catalizzare ancora una volta l’attenzione dei media: sempre in bilico tra onnipotenza e martirio.
Non è quindi facile per Pierluigi. Bisogna capirlo.
Le Regionali del riscatto si sono trasformate nell’inizio della fine. La situazione è critica: mentre il governo, dopo due anni di successi, arranca e litiga con se stesso, lui fatica a scardinare l’anonimato e a imporsi. Mentre la cronaca politica è monopolizzata dai bollettini delle procure, il segretario venuto dall’Emilia non riesce ad approfittarne e a tracciare la linea.
Il suo turpiloquio compie, però, il più inaspettato dei miracoli: ricompatta per un attimo la maggioranza. Con un Italo Bocchino puntuale nel difendere senza se e senza ma la ministra dell’Istruzione.
Ma, va ribadito, Bersani è degno di umana indulgenza.
Mi sono ritrovato a discutere con una simpatica signora ultraottantenne, giorni fa, di un argomento alquanto insolito: la politica, appunto.
Sapeva ovviamente tutto o quasi del presidente del consiglio: peste e corna, vita, successi, gossip, scivoloni e miracoli. Sapeva tutto pure di quel diavolo di Bossi, “Quello che si arrabbia sempre”, nonostante fossimo a Sud. Ovviamente conosceva bene anche l’onnipresente Di Pietro, le sue strabilianti perfomance e la sua guerra mediatica al Cavaliere.
Qualcuno mancava all’appello: “E di Bersani che ne pensa?” Dopo un imbarazzante silenzio e uno sguardo accigliato: “Chi?”.
Con un giovane alle prime armi sarebbe andata addirittura peggio. Lo avrebbe probabilmente confuso con il cantante. Quello di Giudizi Universali. Splendida canzone, di qualche anno fa, che faceva più o meno così: “Potrei ma non voglio fidarmi di te, io non ti conosco e in fondo non c’è in quello che dici qualcosa che pensi. Sei solo la copia di mille riassunti…”.
Bersani c’è. Evviva Bersani.
In un monotono sabato di primavera, il segretario del Partito Democratico prova così ad uscire dal tunnel.
E merita comprensione. Perché ci vuole un fisico bestiale per guidare questo Pd. Ci vuole un fisico bestiale per sopravvivere all’eterno e logorante dualismo Veltroni – D’Alema, a un Di Pietro che sa rubargli continuamente la scena con quei modi e quei discorsi senza troppi fronzoli. Poi ci si è messo pure Santoro, vero leader e guida spirituale della sinistra italiana, bravissimo a catalizzare ancora una volta l’attenzione dei media: sempre in bilico tra onnipotenza e martirio.
Non è quindi facile per Pierluigi. Bisogna capirlo.
Le Regionali del riscatto si sono trasformate nell’inizio della fine. La situazione è critica: mentre il governo, dopo due anni di successi, arranca e litiga con se stesso, lui fatica a scardinare l’anonimato e a imporsi. Mentre la cronaca politica è monopolizzata dai bollettini delle procure, il segretario venuto dall’Emilia non riesce ad approfittarne e a tracciare la linea.
Il suo turpiloquio compie, però, il più inaspettato dei miracoli: ricompatta per un attimo la maggioranza. Con un Italo Bocchino puntuale nel difendere senza se e senza ma la ministra dell’Istruzione.
Ma, va ribadito, Bersani è degno di umana indulgenza.
Mi sono ritrovato a discutere con una simpatica signora ultraottantenne, giorni fa, di un argomento alquanto insolito: la politica, appunto.
Sapeva ovviamente tutto o quasi del presidente del consiglio: peste e corna, vita, successi, gossip, scivoloni e miracoli. Sapeva tutto pure di quel diavolo di Bossi, “Quello che si arrabbia sempre”, nonostante fossimo a Sud. Ovviamente conosceva bene anche l’onnipresente Di Pietro, le sue strabilianti perfomance e la sua guerra mediatica al Cavaliere.
Qualcuno mancava all’appello: “E di Bersani che ne pensa?” Dopo un imbarazzante silenzio e uno sguardo accigliato: “Chi?”.
Con un giovane alle prime armi sarebbe andata addirittura peggio. Lo avrebbe probabilmente confuso con il cantante. Quello di Giudizi Universali. Splendida canzone, di qualche anno fa, che faceva più o meno così: “Potrei ma non voglio fidarmi di te, io non ti conosco e in fondo non c’è in quello che dici qualcosa che pensi. Sei solo la copia di mille riassunti…”.
Sinistra coincidenza.