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Aspettando la riforma del Csm

La notizia è giunta mercoledì pomeriggio: Raimondo Mesiano, il giudice del tribunale civile di Milano che ha condannato la Fininvest al risarcimento di 750 milioni di euro a favore della Cir di De Benedetti,  è stato promosso dal Csm.
Il Consiglio superiore della magistratura, attraverso una delibera che sottolinea l’indipendenza, l’equilibrio e l’imparzialità del lavoro svolto, riconosce a Mesiano il massimo grado che si può raggiungere nella carriera di un magistrato. Decisione, da quanto si è appreso, presa all’unanimità e inserita in un ordine del giorno speciale.
Considerato l’estenuante braccio di ferro tra politica e giustizia e l’aggravarsi, negli ultimi tempi, della dialettica tra le parti dopo la bocciatura della Consulta sul Lodo Alfano, questo è un evento che fatica di certo a passare inosservato.
Nulla di strano se la magistratura, nel rispetto dei suoi poteri, prende un simile provvedimento. E’ nei suoi diritti,  non si discute. Ma è il contesto che porta a riflettere: perché farlo proprio adesso? A soli pochi giorni da una sentenza, quella sul Lodo Mondadori,  che ha fatto tanto discutere ?
Ognuno è libero di interpretare la questione come meglio crede, ma è abbastanza palese il segnale mediatico che i giudici, in maniera più o meno volontaria,  riescono a lanciare. La stima e l’apprezzamento nei confronti di Raimondo Mesiano valgono – secondo l’elementare principio dei vasi comunicanti – anche per la decisione presa da quest’ultimo sul risarcimento alla Cir. Criticato tra l’altro da più parti a causa dell’importo ritenuto eccessivo e spropositato.
Per tale motivo, quella del Csm appare come una forte presa di posizione. Proprio nel momento in cui in molti sperano di rasserenare gli animi e di favorire, in vista di un’auspicabile riforma della giustizia, un clima di rispetto e collaborazione tra toghe e governo.

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