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Arte Araba: intervista ad Ali Hassoun

Mentre le trame della politica e del linguaggio dei media dipingono un mondo arabo culturalmente lontano, le tele di un gruppo di artisti arabi e italiani dimostrano che l’arte è il mezzo che travalica pregiudizi e incomprensioni. Nuove prospettive e affinità dimenticate tra l’occidente e il sud del Mediterraneo sono esposte nella rassegna d’arte “Convergenze Mediterranee, artisti arabi tra Italia e Mediterraneo” presso Palazzo Montecitorio a Roma dal 15 al 24 luglio.
Questa rassegna, precisa il comunicato stampa della Farnesina, costituisce una sintesi delle due esposizioni realizzate dal Ministero degli Affari Esteri nel 2008 in diversi paesi dell’area arabo-mediterranea: nel Mashreq – a Damasco, Beirut, Il Cairo – e nel Maghreb – a Tunisi, Algeri, Rabat. Lo scopo è di studiare e diffondere il significato e l’importanza dell’arte, degli artisti e delle istituzioni accademiche italiane per la formazione e lo sviluppo della cultura visiva e pittorica araba del corso del Novecento. Le opere selezionate per questa mostra sono trentadue, frutto del lavoro di artisti sia arabi sia italiani che hanno vissuto ed operato nei paesi del Maghreb e del Mashreq. “Quando si vede e si dipinge il proprio mondo vedendolo da fuori”, afferma Ali Hassoun, uno dei pittori protagonisti della mostra intervistato da Cappuccino e Narghilè, ” si percepisce l’attrazione che c’è tra i popoli e per una volta si dimentica la tensione che c’è tra le nazioni. Ho uno sguardo positivo sul mondo anche se ammetto che è un mondo tragico. Quindi cerco attraverso la pittura di tradurre concetti gravi, in qualcosa di molto più sereno”. Pur essendo ambiti artistici diversi questa mostra ha un’affinità con il film ” La Banda” dove musicisti egiziani e controparti israeliane scoprono che la passione per la musica jazz è un efficace ambasciatore capace di diminuire il livello di percezione della guerra fredda che caratterizza il rapporto tra quei due paesi. “Rassegne d’arte come queste” , continua Ali Hassoun “dimostrano che quando l’iniziativa è lasciata ai giovani, agli uomini e donne che hanno visto il mondo e che comunicano i sentimenti umani sulle tele, con la loro creatività e col loro bisogno di confronto, l’intercultura, il dialogo interreligioso e la pace sono veramente possibili”. Ali Hassoun è un pittore nato a Sidone, in Libano. Si trasferisce in Italia nel1982 per proseguire gli studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nel 1992 si laurea in Architettura presso l’università della stessa città. Oggi vive e lavora a Milano. E’ sposato con Paola, una giornalista italiana. Hanno una figlia, Yasmin. Lui è musulmano sciita vicino al sufismo. Paola è cattolica. La figlia, ci confida Ali con orgoglio, recita le sure del Corano e chiede a Gesù bambino una sorellina. L’arte è entrata nella sua vita quando aveva 13 anni. Si trovava a Beirut con suo padre in viaggio di lavoro. In una libreria la sua attenzione fu colpita da un volumettto sulla Cappella Sistina.Non conoscendo il francese, lingua in cui era scritto il libro, si soffermò sulle fotografie e l’effetto fu quello di una folgorazione. Scoperta è la parola chiave del viaggio artistico ed umano di Hassoun. Vivere in Italia gli ha permesso di osservare la cultura araba, la tradizione islamica ed il Corano con lenti e prospettive diverse. Ed è stato proprio qui in Italia che ha potuto approfondire il cristianesimo e l’ebraismo cogliendo le analogie fra le tre religioni monoteiste. Dice che in Italia ha trovato il deserto che cercava: “Deserto in senso metaforico, nel senso che lontano dalla guerra civile in Libano, ho trovato la serenità per intraprendere un viaggio di ricerca interiore e di elaborazione della mia identità. I contesti sociali e le dinamiche familiari nelle società islamiche non favoriscono l’isolamento; il gruppo conta più dell’individuo. Questa premessa è fondamentale per capire l’arte islamica e chiarisce come l’artista sia considerato all’interno della società contemporanee arabe. L’ambiente religioso non ha mai gradito gli artisti, in particolare quelli mistici sufi, in quanto ritenuti troppo liberi. Non essendo conformi al pensiero dominante, noi artisti non siamo controllabili. Poi, l’arte araba è aniconica (senza riferimento simbolico al mondo esterno o interiore dell´artista). Visto che le tribù nomadi non avevano tempo di fermarsi a lungo in luogo a ritrarre esperienze e panorami, gli artisti privilegiavano la calligrafia e i motivi geometrici, si esprimevano attraverso la parola in forma poetica. Un ruolo importante l’ha avuto anche la scelta del profeta Maometto di non farsi mai raffigurare. Questo ha indotto l’ortodossia islamica a ritenere le rappresentazioni figurative come un ritorno all’idolatria. Il mondo musulmano ha questa idea dell’astrazione della divinità. Il divino non poteva essere rappresentato. Invece nel mondo cristiano la divinità si fa uomo, Cristo. La presenza del divino come uomo è più sviluppata. Come pittore musulmano provo molto rispetto per una cultura che valorizza la rappresentazione del divino. In alcuni miei quadri ho cercato di documentare come un’altra religione impattasse con il divino. E’ questo che porta la dimensione locale a confrontarsi con quella globale”. Come pittore musulmano libanese naturalizzato italiano, Ali Hassoun prova una forte attrazione nei confronti di De Chirico. La metafisica lo ha sempre impressionato ed è una dimensione che non deve andare perduta. Invece gli artisti contemporanei, secondo Hassoun “stanno dimenticando il rapporto tra il microcosmo e il macrocosmo, che è invece una dimensione cruciale da Platone in poi. Una dimensione che accomuna tutte le culture, Islam compreso. Ma l’uomo occidentale sta perdendo questa dimensione”. E il mondo arabo? “Esso si sta dimenticando della libertà d’espressione. Attraverso la censura vedevi un po’ tutta la nostra cultura e i suoi tabù. In Qatar e Arabia Saudita hanno cancellato dai miei quadri il volto di Dio di Michelangelo mentre le nudità le hanno ricoperte con delle brache. In un quadro Omaggio a Guttuso c’era la Crocifissione ed è stato tagliato in modo che non si vedesse la croce per intero”. Nonostante la censura, Ali Hassoun non si arrende. Vuole esportare i suoi quadri negli Emirati Arabi, a Dubai che sta diventando una sorta di Hub artistico mondiale, che si caratterizza per essere non solo un ambiente ricettivo all’arte che viene da fuori, ma anche un contesto sociale e mediatico che favorisce e valorizza linguaggi e forme artistiche nuove e innovative che combinano tradizione con modernità e sacro con profano. Ali Hassoun, non ha colpito l’interesse di Cappuccino e Narghilè solo per la sua bravura artistica. Ali Hassoun, merita di essere documentato anche per un lavoro in sordina, meno esposto, mai documentato e valorizzato dai media perché rientra nella categoria dell’Islam che non fa notizia. Quasi a cadenza mensile, Ali Hassoun organizza nel suo studio a Milano lo “zhikr” una sorta d’incontro spirituale di un gruppo di fratellanza “misto” che crede in un unico Dio collettivo. Il suo studio diventa il luogo dove musulmani, ebrei e cristiani recitano insieme preghiere e canti delle rispettive fedi.”Quello che cerco di fare, è di attuare un processo interiore di elevazione spirituale autentica, capace di portare l’uomo nella vicinanza di Dio senza dover essere per forza dei santi ma uomini e donne giusti e consapevoli. Io metto a disposizione il mio studio, la mia esperienza e ricerca interiore senza essere maestro per nessuno, solo un compagno di viaggio ed amico”. Buon viaggio Ali (Da il Sole24Ore).

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