Arabia Saudita, Birmania, Cina, Corea del Nord, Cuba, Egitto, Iran, Uzbekistan, Siria, Tunisia, Turkmenistan, Vietnam. Sono questi i dodici Paesi che hanno dichiarato guerra alla grande rete. Lo rivela un rapporto di Reporters sans frontières. Internet preoccupa quei governi che vedono minacciata la loro stabilità dalla libertà di espressione, che solo grazie al web può avere effetti devastanti. Oltre alla censura, che viene applicata in maniera sistematica, i dodici Paesi si sono resi protagonisti di durissimi interventi nei confronti di quegli utenti considerati “sovversivi”. Attualmente, sono 69 i cybernauti messi alla sbarra, con la Cina che vanta, in materia, un triste primato. Ma anche negli stati democratici qualcosa si sta muovendo. Alcuni hanno già adottato misure considerate eccessivamente restrittive. A questo punto sorge davvero spontaneo il dilemma: quanto è sottile il confine che separa l’anarchia dalla libertà? La rete ha favorito la crescita di fenomeni preoccupanti, ma al contempo ha esaltato all’ennesima potenza il concetto di democrazia, di accesso al sapere e all’informazione e di libertà di espressione. Tocca quindi ai governi occidentali, ancora una volta, dare il buon esempio e trovare il giusto equilibrio normativo in modo da evitare il caos e allo stesso tempo non depotenziare l’accessibilità alla rete e la libera circolazione delle idee. Il sistema, oggi, è già in grado di identificare quasi in tempo reale l’utenza e quindi l’origine delle informazioni. Bisogna proseguire verso questa direzione, rafforzando principi chiave come la trasparenza e la responsabilità, senza però introdurre eccessivi vincoli che renderebbero uno strumento assai inclusivo in un privilegio al servizio di pochi. Le paure e la determinazione di Paesi come la Cina dimostrano che internet ha una forza strepitosa, che può creare grattacapi anche a regimi all’apparenza imperturbabili. In conclusione: introduciamo regole chiare, ma non annulliamo uno straordinario strumento che può migliorare la vita di tutti.