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Una vita contro Cosa nostra

Questa è la storia di un uomo qualunque. È la storia di un imprenditore tranquillo di Bivona, piccolo paese abbarbicato sui moti Sicani, provincia di Agrigento.
Quest’uomo si chiama Ignazio Cutrò e ha 43 anni. Si è costituito parte civile nel processo Face Off che è in corso di svolgimento a Sciacca e vede alla sbarra esponenti di rilievo delle cosche agrigentine. Ignazio Cutrò, infatti, così come risulta dalle indagini, è tra le persone particolarmente danneggiate dagli indagati coinvolti nell’inchiesta Face Off. La sua odissea nasce nell’ottobre 1999, quando questo signore si trova dalla sera alla mattina i mezzi incendiati. Un avvertimento che ti toglie il sonno. Ma Cutrò non si abbatte, è un tipo determinato, forse anche testardo. E va avanti, in solitudine, presentando denunce e continuando a lavorare. Fino al maggio 2006. Per cinque anni lasciava ogni sera i mezzi di fronte alla caserma dei carabinieri del suo comune, ritornando a prenderli prima che sorga il sole ogni giorno della settimana.
Non potendo dare fuoco ai mezzi, la mafia ha incendiato le tubature di plastica collocate nel cantiere al quale Cutrò lavorava per un ente pubblico. Dopo l’ennesima tegola sulla testa l’imprenditore agrigentino non demorde: mette mano ai risparmi fin lì accumulati e ricompra il materiale per completare i lavori. A novembre è in un paese vicino al suo, Santo Stefano Quisquina, per un nuovo intervento. Poiché gli otto chilometri che separano Bivona dalla sede del cantiere sono molto pericolosi, per la strada ghiacciata e tortuosa che collega i due comuni, Cutrò decide di difendere personalmente i propri mezzi. Come? Con la forza della disperazione e dell’incoscienza: sorvegliandoli direttamente, armato di coraggio, una spranga di ferro e… una cesta di sassi! Notte dopo notte al freddo, senza accendere l’auto per non richiamare l’attenzione dei malintenzionati. Venti giorni dopo l’avvio del cantiere, però, vengono distrutti 3 mezzi dei dieci che conta l’azienda di Cutrò: un danno micidiale. L’imprenditore si piega? Neppure per sogno. Corre a denunciare gli ignoti e cerca di andare avanti. Quindici giorni dopo, l’8 dicembre, Cutrò trova sulla cassetta delle lettere una tazza nera capovolta. Qual è il messaggio della mafia? Di certo nulla di amichevole. Tanto è vero che, mentre Cutrò è in ferie alcuni giorni per cercare di riposarsi e trovare le forze per proseguire la sua battaglia, il suo cantiere viene letteralmente saccheggiato: sparisce tutto. Ma lui, incredibilmente, non demorde e denuncia nuovamente l’accaduto. Siamo arrivati al 29 marzo 2007 e questo siciliano perbene trova per la prima volta un avvertimento su un suo escavatore collocato di fronte alla caserma dei carabinieri: una bottiglia con liquido infiammabile e una grande quantità di cerini legati intorno collocata nella notte del 6 maggio. Inutile dire che parte l’ennesima denuncia. Il 19 settembre Cosa nostra lascia un nuovo, inequivocabile, messaggio: Cutrò trova l’interno dell’auto disseminata di cartucce. Da quel momento l’imprenditore riceve un po’ di aiuto dalle istituzioni, viene attivato un primo servizio di sorveglianza e il coraggio che iniziava a venire meno, riaffiora. Nel frattempo lo Stato aveva già iniziato a operare, erano partite le prime intercettazioni e le prime indagini approfondite che infatti ebbero come seguito, poco meno di un anno dopo, ad una serie di arresti compiuti nel luglio 2008 tra i comuni di Favara, Santo Stefano Quisquina e Bivona. Le persone coinvolte risultano tutte legate al capomafia dell’agrigentino, Maurizio Digati (oggi in carcere e ‘pentito’), a sua volta strettamente alleato con il boss Salvatore Lo Piccolo. Nel momento in cui scattano gli arresti, Cutrò diventa troppo scomodo. È troppo pericoloso essergli amici. Cessano le visite a casa, è allontanato da amici e parenti e ritenuto responsabile dell’operazione delle forze dell’ordine. Si apre una nuova stagione fatta di minacce su minacce alla quale l’imprenditore risponde come può: altri verbali. Il 4 settembre la famiglia, ormai provata da 9 anni di persecuzioni, chiede aiuto pubblicamente, denunciando l’accanimento di Cosa nostra a tv e giornali siciliani. Finalmente arriva la protezione. Cutrò si sente libero di parlare, di spiegare la sua lotta contro la mafia. A seguito di una giornata della legalità nel suo comune, il 30 gennaio Cutrò subisce la distruzione dell’ennesimo escavatore. Ma ormai l’uomo ha deciso di non arrendersi. Da questo desiderio di riscattare la propria regione, nasce l’idea di fondare Libere Terre, associazione antiracket, che si costituisce e Bivona il 21 maggio 2009. Alle iniziative di Cutrò la mafia risponde ad agosto 2009 con dieci lumini a forma di croce posti fuori della sua abitazione, in aperta campagna. Sei mesi fa l’imprenditore-coraggio riceve una lettera minatoria che il Clandestino pubblica oggi in esclusiva. Nella lettera – come si può vedere – i mafiosi minacciano Cutrò di colpire i suoi familiari. Il messaggio, giunto drammaticamente a casa dell’imprenditore il giorno dell’ammissione del figlio – oggi ventenne – alla facoltà di ingegneria dell’università di Milano, ha condotto i Cutrò a tenere il figlio con sé, privando il ragazzo dell’opportunità di un’istruzione guadagnata con lo studio e l’impegno. «Ma mio figlio, stia certo, andrà l’università» – dice con dignità il padre – «la mafia non si sta accorgendo che giorno per giorno perde la sua battaglia. Ci sono segnali importanti, anche la classe dirigente siciliana risponde bene al nostro richiamo legalitario».
«L’importante però – aggiunge Cutrò – è che tutta la società siciliana si svegli. Gli imprenditori che ogni giorno sono costretti a pagare il pizzo devono sapere che se non chiedi aiuto, nessuno potrà mai aiutarti. E io l’aiuto dello Stato l’ho avuto». Cutrò non lo dice, ma ci sono anche cose che non vanno. La Fiat Croma blindata con cui si spostava prima è stata sostituita da una Punto e lui e la sua famiglia vengono lasciati tutta la notte da soli, protetti solo dal loro coraggio e dai cani, nella solitudine della loro casa immersa nella campagna agrigentina.
Cutrò preferisce parlare delle luci: «Il ministro Alfano ha lanciato una proposta che noi di Libere Terre sosteniamo con convinzione: uno scudo assicurativo sottoscritto dallo Stato in favore di quegli imprenditori che denuncino l’odiosa pratica del pizzo». C’è un altro uomo qualunque, in Sicilia, che tiene la testa alta a Cosa nostra (il Clandestino).

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