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SOVRAFFOLLAMENTO CARCERARIO E SOLUZIONI: IL PARERE DI COSIMO FERRI (MAGISTRATURA INDIPENDENTE)

Il sovraffollamento carcerario è ormai divenuto un fenomeno patologico dovuto ad un concorso di ragioni: un’edilizia penitenziaria ormai vetusta; un notevole incremento della popolazione detenuta di origine extracomunitaria, che ormai costituisce la quota maggiore della popolazione detenuta; un notevole incremento della presenza di soggetti condannati per pene detentive brevi (anche di pochi mesi) per i quali il ricorso alle misure alternative è stato ostacolato dalla progressiva introduzione negli ultimi anni (a partire dalla legge ex Cirielli del 2005) di una serie di preclusioni normative.
Il piano di edilizia penitenziaria presentato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (sarebbe previsto un incremento di circa 17.000 posti) ovviamente non è in grado di risolvere nell’immediato il problema del sovraffollamento: tale piano infatti dovrebbe andare a regime solo nel 2012, sempre che siano reperite le (notevoli) risorse finanziarie necessarie all’avvio dei cantieri.
E’ quindi opportuno riflettere sulla possibilità di un potenziamento dell’attuale sistema delle misure alternative, partendo da alcune proposte che sono state avanzate anche sul piano politico.
Ricordo infatti che nell’estate del 2008 (quando già cominciava a riproporsi il problema del sovraffollamento carcerario, essendosi ormai esaurito l’effetto dell’indulto del 2006) il Ministro Alfano avanzò una proposta abbastanza ragionevole: ridurre il sovraffollamento carcerario rafforzando due strumenti normativi già previsti quali la detenzione domiciliare per le pene inferiori ai 2 anni (anche a mezzo di particolari forme di controllo quali il braccialetto elettronico) e l’espulsione degli stranieri condannati per pene inferiori ai 2 anni disposta dal magistrato di sorveglianza ai sensi del d.lvo 286/98.
Tuttavia tali proposte sono state ben presto abbandonate.
Ritengo allora che una soluzione concreta e di facile attuazione (anche sotto il profilo dell’iter legislativo) sarebbe proprio quella di apportare alcune piccole modifiche all’ordinamento penitenziario tendenti a rimuovere alcune di quelle preclusioni normative che negli anni hanno reso più arduo il ricorso da parte della Magistratura di sorveglianza all’applicazione di misure alternative idonee a garantire un adeguato contenimento della pericolosità sociale del condannato.
Questo è proprio il caso della detenzione domiciliare ex art. 47 ter c. 1 bis legge 354/75 (legge penitenziaria) che consente ai condannati per pene inferiori ai 2 anni di scontare la pena presso il proprio domicilio, purché non siano stati condannati per delitti di cui all’art. 4 bis delle legge 354/75 e non sia stata loro applicata la recidiva reiterata ex art. 99 c. 4 c.p. Ora, mentre per i reati previsti dall’art. 4 bis O.P. (ad. es. mafia, omicidio, spaccio ingenti quantità di stupefacenti, rapina aggravata, violenza sessuale ed altri) la preclusione appare giustificata in ragione del maggior tasso di pericolosità sociale di cui i suddetti reati sono sintomatici; per quanto concerne la preclusione in forza della recidiva reiterata ex art. 99 c. 4 c.p. (introdotta nel comma 1 bis dell’art. 47 ter O.P. per effetto dell’art. 7 comma 4 legge 251/05 la c.d. Ex Cirielli), va detto che non sempre tale divieto  appare giustificato da un’effettiva pericolosità sociale del condannato. Questo dipende dal fatto che la preclusione in oggetto presuppone la mera applicazione della recidiva reiterata a prescindere dalla tipologia del delitto per il quale il soggetto è stato condannato. In altri termini: se un recidivo reiterato condannato per violenza sessuale o per una rapina aggravata si può senz’altro ritenere portatore di un grado di pericolosità sociale tanto elevato da non poter essere contenuto neanche mediante una detenzione domiciliare (spesso le violenze sessuali sono commesse proprio in ambito domiciliare e succede non di rado di leggere nei certificati penali di rapine commesse dopo essere evasi dagli arresti domiciliari); difficilmente si può pensare che anche un ricettatore, un truffatore o un contrabbandiere recidivi reiterati siano portatori di una pericolosità sociale tale che non possa essere adeguatamente contenuta mediante una detenzione domiciliare. Invece, in concreto accade che per molte condanne, anche per pene brevi inferiori ai 3 anni e per reati di modesto allarme sociale, per il solo fatto che sia stata applicata la recidiva reiterata ex art. 99 c. 4 c.p.,  non operi il meccanismo di sospensione dell’ordine di carcerazione da parte del Pubblico Ministero: infatti ai sensi dell’art. 656 c. 9 lett. c) c.p.p. la sospensione dell’esecuzione della pena non opera nei confronti dei condannati ai quali sia stata applicata la recidiva reiterata ex art. 99 c. 4 c.p. In tali casi il condannato viene tradotto in carcere anche se per scontare condanne di pochi mesi e non può neanche beneficiare della detenzione domiciliare, quale forma di esecuzione alternativa della pena, stante appunto la preclusione di cui all’art. 99 c. 4 contenuta nel comma 1 bis dell’art. 47 ter O.P.
Ebbene, ritengo che anche la semplice eliminazione dal comma 1 bis dell’art. 47 ter O.P. del riferimento alla recidiva reiterata ex art. 99 c. 4 consentirebbe una notevole riespansione del potere valutativo discrezionale della Magistratura di Sorveglianza, la quale potrebbe applicare la detenzione domiciliare anche per quei soggetti che – ancorché recidivi reiterati – siano stati condannati per reati comunque di modesto allarme sociale (o che almeno come tali vengono percepiti nell’opinione pubblica) e che debbano scontare pene detentive brevi (inferiori ai 2 anni): l’effetto deflattivo sulla popolazione carceraria sarebbe rilevante.
Si deve, a tal proposito, considerare che la detenzione domiciliare rappresenta forse l’unico tipo di misura alternativa con il più basso rischio di recidiva (in raffronto alla semilibertà ed all’affidamento in prova ai servizi sociali) considerato che l’eventuale evasione del condannato è suscettibile di arresto in flagranza di reato.
Si potrebbe inoltre potenziare l’effetto deterrente della detenzione domiciliare facilitando il ricorso a forme di controllo a distanza più stringenti: si tratta, invero, di una possibilità già prevista dal comma 4 bis dell’art. 47 ter O.P. in base al quale il Tribunale di Sorveglianza può prevedere modalità di verifica dell’osservanza delle prescrizioni imposte anche mediante mezzi elettronici, quando ne sia accertata la disponibilità da parte delle autorità preposte al controllo (viene richiamato l’art. 275 bis c.p.p. per le modalità operative concrete). Nella prassi operativa dei vari Tribunali di Sorveglianza non mi consta che siano mai state applicate forme di controllo del detenuto domiciliare, anche per la ragione che tali strumenti di controllo non sono, all’atto pratico, disponibili in numero adeguato presso le forze dell’ordine.
Altra soluzione pratica potrebbe essere quella di istituire dei reparti o sezioni speciali di personale della Polizia Penitenziaria specificamente dedicati al controllo dei condannati in esecuzione di misure alternative alla detenzione: un po’ come accade nei sistemi anglosassoni (ad es. quello degli Stati Uniti) dove è prevista la figura del “poliziotto di sorveglianza” che viene assegnato al detenuto ammesso alla libertà vigilata e che ne controlla i movimenti. Nella nostra realtà accade infatti che spesso le Forze di Polizia – già assorbite da pressanti compiti di ordine pubblico e di polizia giudiziaria – non siano in  grado di effettuare controlli continui sui soggetti ammessi alle misure alternative. Con la conseguenza che, se per la detenzione domiciliare il rischio di recidiva è più limitato, invece per le altre misure alternative quali la semilibertà e l’affidamento in prova ai s.s.  – in relazione alle quali il condannato gode di maggiori spazi di movimento nell’ambiente libero – il rischio di recidiva connesso alla mancanza di forme più stringenti di controllo di polizia appare più elevato.
Infine per quanto riguarda la presenza di extracomunitari nell’ambito della popolazione detenuta potrebbe essere potenziato lo strumento dell’espulsione quale sanzione alternativa applicabile da parte del Magistrato di Sorveglianza ai sensi dell’art. 16 comma 5 d.lvo 286/98 . Tale norma nata con una chiara funzione di deflazione della popolazione carceraria consente al Magistrato di Sorveglianza di disporre l’espulsione dello straniero detenuto per pene inferiori ai 2 anni, che sia stato identificato e che non sia stato condannato per delitti di particolare gravità previsti dall’art. 407 comma 2 lett. a) c.p.p. (ad. es. mafia, violenza sessuale, spaccio di ingenti quantità di stupefacenti, omicidio etc.) oppure per i delitti previsti in materia di immigrazione. Tuttavia l’effetto deflattivo della popolazione carceraria risulta di fatto vanificata dai seguenti problemi applicativi che si pongono nella prassi concreta: 1) quasi mai è possibile un’identificazione certa delle generalità dello straniero (spesso a suo carico risultano vari alias) e del paese di provenienza; 2) anche quando venga identificato con certezza lo straniero ed il Magistrato di Sorveglianza emetta con celerità il decreto di espulsione, passano molti mesi prima che questo venga eseguito: spesso l’esecuzione dell’espulsione sopraggiunge nel momento in cui lo straniero ha ormai terminato di espiare la sua pena. Andrebbero dunque snellite e velocizzate le procedure esecutive dell’espulsione con particolare riguardo alla fase di identificazione delle generalità del detenuto e del Paese di provenienza nonché le procedure amministrative di accompagnamento del detenuto alla frontiera da parte delle Questure territorialmente competenti. E’ tuttavia necessario che – anche per l’adozione dei correttivi sopra brevemente  accennati – non si prescinda dalla ripresa del dialogo con gli operatori chiamati ad applicare concretamente le norme, in un clima di costruttiva collaborazione, che potrebbe essere favorita dall’istituzione di forme permanenti di consultazione, così da consentire l’indispensabile apporto tecnico alla politica, cui è demandata la responsabilità della sintesi legislativa.

*  magistrato, già componente del Consiglio superiore della Magistratura        

 

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