Archivio Attualità

Se Tafazzi ha il cuore azzurro

La sindrome di Tafazzi, solo fino a qualche mese fa, attanagliava in esclusiva la sinistra e i suoi derivati.
Al centro destra e ai suoi interpreti non si potevano certo imputare manie masochiste, tendenti all’autodistruzione.
Almeno fino a quando qualcosa è davvero cambiato. E anche dalle parti del Pdl e dintorni si è cominciato a litigare senza sosta su questioni più o meno importanti.
Le fazioni, altro esclusivo marchio di fabbrica dell’area progressista, si sono appalesate pure dall’altra parte. Una, la più grande e collaudata, fa capo al presidente del consiglio. Poi c’è quella vicina a Fini, ovvero la prima ad aver pubblicamente esternato i suoi distinguo dal resto della truppa e creato casi mediatici non sempre aderenti ai problemi prioritari dei cittadini (vedi l’ora d’Islam). A fare il terzo incomodo ci pensa invece la Lega, che sulle regionali alza la posta e punta dritto sul suo cavallo vincente: il ministro dell’Economia Giulio Tremonti.
Per carità: la discussione ci sta tutta e sotto un certo punto di vista fa anche bene alla politica e alla crescita di un partito, come il Pdl, bisognoso di trovare una ben definita identità. A pensarci meglio: è anche una bella risposta a chi considerava la maggioranza un monolite in mano al premier – padrone.
Ma attenti a non esagerare. A non inciampare su questioni inutili, a  farsi del male e a non perdere di vista l’unica missione che conta davvero: governare.
Va bene il confronto e in taluni casi persino lo scontro può rivelarsi salutare, ma poi c’è il programma che deve mettere per forza tutti d’accordo.
In sintesi: quello che da anni ormai distingue chi governa da chi sta all’opposizione è il pragmatismo, la determinazione e il coraggio nell’affrontare i problemi del Paese. Non è solo un discorso ideologico, ma anche di approccio. E se questo atteggiamento – causa un eccesso di chiacchiere,  personalismi meditaci  e incomprensibili autolesionismi- comincia a venire meno, la differenza rischia di farsi più sottile. Con conseguenze facili da immaginare. Gli elettori, la storia degli ultimi 15 anni insegna, non amano troppo le liti di palazzo. E non apprezzano chi, invece di prendere decisioni, si da ogni giorno la fatidica zappa sui piedi.
Il confronto culturale tra le varie anime del centrodestra deve andare avanti. Ma si deve accompagnare alla necessità di modernizzare l’Italia,un Paese dove anche i Frecciarossa sono sporchi e arrivano tardi. Un Paese in cui un politico con aspirazioni da leader – Gianfranco Fini – boccia la riforma dei regolamenti parlamentari, la prima cosa che la maggioranza di centro destra avrebbe invece dovuto fare una volta insediatasi. Se Fini crede che nel 2010 una Nazione possa essere governata ancora con il metodo assembleare della riforma dei regolamenti parlamentari del compromesso storico. Se il presidente della Camera non ha ancora compreso il valore decisivo di questa riforma e di quella della giustizia, c’è da preoccuparsi.
Il Popolo della Libertà è stato votato per governare. Lo faccia senza bisogno di legittimazioni o giravolte. Altrimenti l’esperienza governativa del centro destra in Italia sarà derubricata dalla Storia come una intensa ma breve parentesi (foto dal web).

Riguardo l'autore

vocealta