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“Oggi a me, domani a te”

Gli ultimi mesi, con l’intromissione nella vita privata del presidente del Consiglio strumentalizzata per fini politici, hanno di fatto rotto una pax vigente fin dalla metà degli anni Cinquanta che vedeva i fatti intimi e personali al riparo da scontri e contrapposizioni politici.
A tal proposito è stato citato fin dai primi giorni il notissimo caso Montesi, ovvero la morte della giovane Wilma Montesi e il presunto coinvolgimento del figlio dell’allora ministro democristiano Attilio Piccioni, per accostarlo alla bufera che si è scatenata contro Silvio Berlusconi. Il clamore per quella tragica morte travolse la famiglia Piccioni decretando la sostanziale fine della carriera politica del dirigente della DC.
A determinare la tacita pax durata la bellezza di oltre cinquant’anni, tuttavia, non fu il caso Montesi, che vedeva ancora una volta i comunisti ergersi a moralizzatori e fustigatori dei costumi dissoluti, ma il meno ricordato caso Sotgiu, che coinvolse un celbre penalista romano, all’epoca presidente della provincia di Roma (nella foto). Fu infatti quest’ultimo a ricordare a tutti, soprattutto a chi pretendeva di impartire lezioni di moralità, che in realtà siamo tutti esposti al giudizio altrui.
Ma cosa fu il caso Sotgiu? Nell’ambito di un inchiesta relativa alla morte di una giovane chietina, Maria Adelaide Montorsi, alcuni giornalisti di Momento Sera, appostati nelle vicinanze di una casa di appuntamenti che la Montorsi avrebbe frequentato prima di morire, videro entrare più volte i coniugi Liana Grimaldi e Giuseppe Sotgiu. Costui era l’avvocato di Marco Sforza Cesarini, firma del giornale comunista Vie Nuove che accusò per primo Piero Piccioni di coinvolgimento diretto nel delitto della giovane Wilma Montesi. Come avvocato di Sforza Cesarini il celebre avvocato penalista Sotgiu divenne ben presto il grande moralista dell’epoca, risanatore della vita pubblica nazionale. E cosa ci faceva un signore dal profilo morale così elevato in un bordello e per di più in compagnia della moglie? Semplice, l’avvocato Sotgiu, presidente comunista della provincia di Roma, portava la moglie ad incontrarsi con un giovane stallone a pagamento poco più che ventenne (e dunque per l’epoca minorenne) e assisteva alle loro esibizioni erotiche. I giornali dell’epoca sfornarono titoli come ‹‹I proletari dell’amore proibito›› o, ancora, ‹‹Gli amanti per interposta persona››, ma il commento che pare più attuale resta quello dell’Osservatore Romano che commentò: ‹‹Hodie mihi, cras tibi››, ovvero ‹‹Oggi a me, domani a te››.
Il quotidiano d’Oltretevere aggiungeva: ‹‹Questo sistema di lotta politica – che aveva travolto Piccioni e che colpiva ora Sotgiu – è indecoroso e inefficace perché autorizza tutti a servirsene mentre i motivi e i pretesti possono sempre, ogni giorno, presentarsi ovunque con reciproco scambio di colpi bassi››. Che siano state queste le considerazioni che hanno condotto alla lunga pax? Costretto a dimettersi da tutte le cariche, Sotgiu fu accusato di aver indotto alla prostituzione la consorte e, insieme a questa, di aver indotto alla prostituzione e alla corruzione il minore. La vicenda sarà poi archiviata successivamente senza processo né condanne, lasciando tuttavia l’opinione pubblica fortemente impressionata. Non si ricorda, tuttavia, alcun “processo” ai danni dei giornalisti di Momento Sera che svelarono la doppia vita del moralista comunista Giuseppe Sotgiu.

 

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