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“Batteremo la dis-unità d’Italia”

Riproponiamo l’intervista rilasciata da Sandro Bondi, lo scorso 28 settembre, a Mattia Feltri de La Stampa
 
Il ministro dei beni culturali Sandro Bondi ritiene che per i festeggiamenti dei 150 anni dell’unità d’Italia serva un nuovo programma condiviso, e che quello di Prodi fosse raffazzonato.
Ministro Bondi, dopo il gran tafferuglio, la macchina per le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia si è finalmente messa in moto. Perché tanto ritardo?
«Le ragioni sono molteplici. Il programma del governo Prodi era raffazzonato e senza un’idea guida. Giustamente si è parlato di “celebrazioni edilizie”, visto l’assortimento di opere pubbliche senza alcun legame con l’anniversario dell’unità d’Italia. Abbiamo dovuto riprendere in mano tutto, chiedendo a Carlo Azeglio Ciampi di restare alla guida del Comitato dei garanti, riconoscendo il ruolo avuto nel rinnovare negli italiani il sentimento della Patria».
Vaabbè, Prodi, ma Berlusconi c’è da un anno e mezzo e ci sono volute le dimissioni minacciate di Ciampi per accelerare. Il suo ministero ha rischiato la brutta figura.
«Sia il Presidente Giorgio Napolitano che Ciampi hanno giustamente sollecitato il governo a mettere a punto nel più breve tempo possibile un programma credibile e condiviso. Lo sto facendo, con impegno, convinzione e con la partecipazione di tutti».
Abbiamo letto il programma. L’impressione è che sia un po’ scontato, senza grandi guizzi di fantasia.
«Quello che lei chiama programma è un documento che contiene le linee essenziali in merito alle quali il Consiglio dei ministri ha espresso un consenso di massima. Queste linee generali le ho innanzitutto sottoposte al Comitato dei garanti, il quale si è riservato di integrarlo e arricchirlo. Desidero svolgere un lavoro aperto, che coinvolga tutte le forze politiche, le istituzioni, in primo luogo la scuola e l’università, gli istituti storici, i mezzi di comunicazione, gli enti locali, e il comitato per le celebrazioni del Piemonte».
Ma ci si può aspettare qualche sorpresa?
«Quando avrò raccolto i contributi di tutti, a cominciare dalle proposte dei miei colleghi ministri (già Frattini, La Russa, Gelmini, Maroni, Carfagna, Sacconi e Meloni me ne hanno consegnate di interessanti) e quelle del comitato dei garanti, sottoporrò il documento conclusivo per l’approvazione definitiva. A quel punto cominceremo il lavoro vero e proprio. E sono convinto che si potrà cominciare ad apprezzarlo».
Torino rivendica di essere centrale nelle manifestazioni. Lo sarà?
«Torino non può non avere un ruolo importante. Non a caso è stato costituito un comitato regionale che ha già messo a punto un nutrito programma di attività, alcune delle quali, per il loro valore, faranno parte integrante del programma generale».
Il problema vero è che ci sono visioni diverse. Quella leghista, quella monarchica, chi rimpiange i Borbone, chi lo Stato della Chiesa.

«Questo è il tema controverso della memoria condivisa che ancora fatichiamo ad avere. Sono d’accordo con Ernesto Galli della Loggia quando sostiene che per avere un’identità nazionale dobbiamo prima di tutto riconciliarci con il nostro passato, da quello più antico a quello più recente, senza più la preoccupazione di scartare ciò che ci appare buono da ciò che ci appare meno buono».
Però il presidente del Consiglio invita a leggere i libri di Angela Pellicciari, che rivaluta i Borbone, dice che i garibaldini erano anche un po’ mascalzoni e che il Risorgimento fu una guerra massonica alla Chiesa. Non è tutta qui la contraddizione?
«Non si tratta di una contraddizione. Fra gli stessi storici vi sono interpretazioni diverse sul nostro Risorgimento. E’ normale che ciò avvenga ed è bene che questa molteplicità di orientamenti sia incoraggiata. Quest’opera di scavo nella nostra storia non potrà che aiutarci a costruire un immagine condivisa del nostro passato, un’idea unitaria del nostro Paese. Ne sono sicuro, anche perché – come ha ricordato Giuseppe De Rita – l’unità nazionale è un processo di lunga durata, nel quale le nostre radici (la lingua innanzitutto e le diversità territoriali) sprigionano un processo unificante sotterraneo ma di grande potenza».
Insisto: le feste unificanti da noi dividono. Vale per il 25 aprile e per i 150 anni dell’Unità d’Italia.
«Qualcuno ha scritto che celebriamo l’unità d’Italia in piena disunità, in una nazione profondamente divisa. Si tratta di un giudizio forse eccessivo. Tuttavia è innegabile che contiene elementi di verità, se pensiamo per esempio alla condizione del nostro Mezzogiorno. Per questo è necessario sgravare le celebrazioni da ogni orpello retorico e valorizzare ciò che unisce e può permetterci di affrontare le questioni ancora irrisolte dell’unità nazionale».
Ritiene che ci sia qualcuno -pensiamo agli studenti – che si appassiona per il Risorgimento e per i valori che trasmetterebbe?
«Se chiediamo agli immigrati di conoscere la nostra storia e la nostra lingua per ottenere la cittadinanza italiana, ciò vale naturalmente per i figli degli italiani. E per appassionarci al Risorgimento, così come alla Resistenza, abbiamo le testimonianze morali e spirituali di quei giovani che hanno dato la vita per un ideale superiore, per l’Italia unita o per la difesa della libertà dal nazismo e dal fascismo. La televisione, come ha ricordato Giorgia Meloni, può produrre programmi e film capaci di ricordare queste figure eroiche. Infine, la penso come Piero Calamandrei, quando, commemorando la Resistenza, disse che coloro che si sacrificarono e persero la vita per noi formano come un tribunale invisibile che giudica i nostri comportamenti di oggi. Dobbiamo sempre chiederci se siamo degni del loro sacrificio».

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