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Popolo della Libertà tra attese, speranze e rivoluzioni

“Nel nuovo partito dovrà entrare aria nuova e non ci sarà spazio per le correnti, per i potentati e per la nomenclatura. Sugli incarichi e i ruoli di responsabilità, nel Pdl si applicherà la regola della democrazia, anche se noi abbiamo stabilito che inizialmente e per un periodo limitato le scelte saranno fatte dal vertice”.
Il congresso del 27 marzo si avvicina e le dichiarazioni di Silvio Berlusconi saranno sicuramente servite a fare un po’ di chiarezza su quale modello potrà ispirarsi il tanto atteso Popolo della Libertà.
I recenti fallimenti del Partito Democratico e dei suoi leaders (tanto da riportare nostalgicamente in voga la vecchia ammucchiata partitica di prodiana memoria), deve servire da esempio. Il PD, nato per essere una sintesi, ha invece raddoppiato i problemi e svuotato le idee politiche dei suoi protagonisti, un progetto burocratico che non ha tenuto conto della base e ha invece stimolato guerre parallele e intensificato le divisioni in piccoli potentati. Ecco perché l’idea del Cavaliere, se messa davvero in pratica, può essere ancora una volta rivoluzionaria, con la creazione di un modello verticale che annulla il potere delle lobbies interne e collega in modo diretto gli iscritti al vertice.
Un grande progetto rivoluzionario di natura berlusconiana è stato proprio Forza Italia: il primo, vero partito unico della storia repubblicana italiana, in grado di unire, in una delicatissima fase politica,  sotto lo stesso tetto socialisti, democristiani e liberali. Ora si può passare al secondo livello: allargare il soggetto verso destra.
La leadership di Berlusconi è pesante, per i soliti gufi è l’unico collante che evita il crollo del centrodestra. A maggior ragione ora tocca solo a lui la responsabilità di costruire un partito nuovo da lasciare in eredità alle generazioni future, in grado di garantire continuità e allo stesso tempo una rottura concettuale e organizzativa con il passato.

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