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Per una nuova generazione di cattolici impegnati in politica

Pubblichiamo il documento diffuso da Sandro Bondi e Mariastella Gelimini sul tema dei cattolici impegnati in politica.
Tutti coloro che sono impegnati in politica, e in modo particolare i cattolici che militano in diversi schieramenti, hanno il dovere di non far cadere nel vuoto le parole illuminanti del cardinale Angelo Bagnasco, contenute nella sua prolusione nel corso dei lavori della Conferenza Episcopale italiana. Quanto più difficili sono le condizioni del paese e l’impegno necessario a farvi fronte per assicurare un futuro migliore all’Italia, tanto più è necessario promuovere una nuova generazione di esponenti politici, «onesti e competenti», secondo l’auspicio formulato recentemente anche dal Santo Padre, capaci di agire in coerenza con l’insegnamento della Chiesa e a favore degli interessi generali del nostro paese.
L’Italia ha bisogno di profonde riforme per superare i suoi storici ritardi, per mettersi al passo con lo sviluppo, ma questa convinzione si accompagna alla fiducia nel popolo italiano, alla fiducia nei confronti di una società che non è il luogo della virtù ma neppure del menefreghismo o del qualunquismo, come pensano alcuni influenti ambienti politici e culturali. Anzi, la crisi economica che abbiamo attraversato ha dimostrato che il nostro sistema sociale, i valori della nostra tradizione, quel tessuto multiforme di cui da anni parla De Rita nelle sue ricerche, hanno dato vita ad una struttura più robusta e più sana di quanto non si creda. Questa crisi, infatti, non è la crisi del capitalismo o del mercato: essa è scaturita dall’assenza di regole, anzi dalla violazione delle regole, dalla mancanza di valori morali condivisi e di un fine sociale e umano dello sviluppo.
In uno dei suoi primi discorsi Barack Obama ha detto: «Non è in discussione se il mercato sia una forza positiva o negativa», poiché «la sua capacità di generare ricchezza e di espandere la libertà non ha eguali». Sennonché «la crisi presente ci ha ricordato che, senza un occhio vigile, il mercato può andare fuori controllo», e «non è pensabile che una nazione possa a lungo prosperare quando ad essere favorito è soltanto chi è agiato». Questo spirito, questo pensiero non è un’ideologia, è quanto di meglio hanno espresso le culture democratiche del nostro tempo, soprattutto la dottrina sociale della Chiesa: la convinzione che anche l’economia deve avere una finalità, di carattere sociale, umano, spirituale; che nessuno può essere lasciato solo, soprattutto quando soffre. Nella sua ultima ultima enciclica Caritas in Veritate, il Santo Padre lo ha ricordato con una ricchezza di argomenti e di prospettive sulle quali laici e credenti sono chiamati a riflettere, se vogliono umanizzare la società in cui viviamo.
L’attuale crisi ha certamente restituito un ruolo allo Stato, come garante delle regole, ma sarebbe un errore pensare ad un ritorno ad un ruolo centrale dello Stato come fu dopo la grande crisi del 1929, che influenzò anche la cultura cattolica. Non a caso, la crisi economica e i necessari interventi dello Stato non hanno coinciso con l’affermarsi delle posizioni della sinistra in tutta Europa. Ciò perché la crisi pone questioni nuove che né lo Stato né politiche liberiste incentrate sulla totale libertà dell’individuo possono risolvere. Come scrisse Adriano Olivetti riflettendo sulle conseguenze della crisi del 1929: «Chi può realizzare il nuovo mondo che nasce? Non lo Stato né gli individui come tali. Occorre trovare un fondamento nuovo in grado di ricomporre la coesione sociale che è una coesione da intendere anche in termini spirituali: la Comunità concreta. L’idea è di creare interessi morali e materiali condivisi tra gli uomini che vivono la loro vita sociale ed economica in un conveniente spazio geografico determinato dalla natura o dalla storia».
Questa visione della società si fonda su una concezione personalista e comunitaria frutto dell’incontro fra la tradizione del cristianesimo e quella del socialismo umanitario e liberale, oltre che dell’apporto di tutte quelle tradizioni che hanno valorizzato la dimensione personale e sociale dell’uomo. Questa visione dell’uomo e della società rifugge dalle ideologie, ma continua a coltivare la speranza di un cambiamento, cioè di una umanizzazione della società; è anche una identità che non abbraccia né l’ideologia del relativismo né quella – altrettanto preoccupante – dell’accettazione della realtà così com’è, ma nello stesso tempo non condanna la realtà e l’uomo moderno sulla base di principi assoluti. Questa identità ha un nucleo di valori forti e unitari (non di tradizioni che semplicemente si giustappongono), di ideali che tendono a calarsi nella realtà e a trasformarla, ma nello stesso tempo è compassionevole, caritatevole nei confronti dell’uomo e delle sue contraddizioni, aperta al dialogo e alla comprensione delle ragioni degli altri.
Come non essere d’accordo con Papa Benedetto XVI quando scrive che «un cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. E’ esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale». Nello stesso tempo, «non possiamo sempre gridare forte la verità. Essa presuppone amore e sensibilità. Gli esseri umani sono più che mai in cerca di sollievo e aiuto nel dialogo». Il mondo cattolico rivendica un pensiero di verità, che si accompagna però alla comprensione per l’uomo, per le sue sofferenze, le sue domande.
Questa identità complessa e aperta ci spinge, sul piano politico, ad un’azione che punti innanzitutto a superare le divisioni, le fratture, gli steccati, nella sfera della società, dell’economia, della politica, della cultura, per creare le condizioni di un’Italia più coesa, più unita, più solidale. Il primo compito riguarda proprio la sfera del confronto politico, sempre più contrassegnato da un clima di contrapposizione radicale e di demonizzazione nei confronti degli avversari politici. Un paese moderno ha bisogno, al contrario, di superare queste contrapposizioni ideologiche e di puntare ad una democrazia nella quale il confronto si misura sui contenuti e sui programmi, a partire da un riconoscimento reciproco di legittimità e sulla base della condivisione di valori comuni. Il prossimo anno si celebra il 150° anniversario dell’unità d’Italia. Si tratta di un’occasione da non perdere per rinsaldare uno spirito unitario e il superamento di una memoria storica tuttora divisa.
Una iniziativa politica si può realizzare con successo se punta ad un progetto di ricomposizione, di superamento delle fratture e delle divisioni presenti nella società italiana secondo una visione unitaria. La saggezza della politica si distingue per la sua capacità di ricercare un punto di equilibrio. Una forza politica non cade nell’errore di mettere in contrapposizione due aspetti di uno stesso problema (ad esempio la questione della sicurezza, del necessario controllo dell’immigrazione con quella dell’integrazione), ma si pone il problema di individuare un punto di equilibrio tra queste esigenze altrettanto importanti. La ricerca di questo punto di equilibrio ci deve impegnare in un lavoro comune. Partendo da una considerazione sulla quale tutti possiamo concordare: per troppi anni, in Italia, soprattutto a causa di un abito mentale diffuso dalla sinistra, è stata assente una politica seria e rigorosa di controllo dell’immigrazione clandestina. Questo pericoloso lassismo nell’affrontare con razionalità uno dei fenomeni più complessi e duraturi del nostro tempo è all’origine dell’insicurezza che la maggioranza degli italiani, soprattutto di quelli socialmente più deboli, avverte sempre più acutamente. Il bisogno di sicurezza non è alimentato da una parte politica, come cerca di far credere la sinistra, ma è un fenomeno sociale reale, al quale un governo deve fornire risposte convincenti. Per questo riteniamo che le misure sulla sicurezza varate dal nostro governo siano positive perché offrono risposte concrete ad un bisogno di sicurezza che qualsiasi comunità ha il diritto di vedere soddisfatta. Quelle forze politiche che ignorano questa richiesta di sicurezza che sale dal paese sono di fatto irresponsabili e colpevoli di alimentare di fatto un sentimento di avversione indiscriminata del popolo nei confronti degli immigrati. Questo pericolo esiste anche in un paese come l’Italia, che è per cultura e per inclinazione il meno razzista del mondo.
Tutto questo non vuol dire che dobbiamo disinteressarci di una politica dell’integrazione, e dei relativi diritti, di quegli immigrati che lavorano regolarmente in Italia e che contribuiscono al nostro progresso economico. Perché anche questa preoccupazione scaturisce dai nostri valori, dalla nostra visione del futuro dell’Italia. Ma bisogna farlo con equilibrio, con misura, cercando per l’appunto di raggiungere quel punto di equilibrio, non contrastante con i principi in cui crediamo, frutto del confronto e della responsabilità della politica.
Un altro terreno di distinzione dell’impegno politico dei cattolici riguarda l’educazione. Come ha sottolineato il cardinale Ruini nel suo volume La sfida educativa, gran parte dei problemi della nostra società è in ultimo riconducibile a un deficit educativo. E’ un punto di vista che condividiamo, e per questo ci siamo impegnati a tutto campo per migliorare il nostro sistema formativo, dalle scuole primarie all’università. Le istituzioni devono sostenere l’azione educativa delle famiglie offrendo loro il maggior numero di opportunità possibili. In una società aperta e pluralista, una di queste opportunità è proprio quella che riguarda la libertà educativa, che deve fornire ai genitori la possibilità di scegliere tra scuola statale e scuola paritaria, secondo le esigenze, i valori, le aspettative della famiglia. Il governo, convinto del carattere «generativo» dell’educazione, si è battuto, inoltre, affinché i maestri tornino a essere consapevoli della loro fondamentale funzione, ritrovando la loro centralità e unicità a cominciare dalla scuola primaria. E’ perché condividiamo l’idea di una scuola che deve formare la persona che abbiamo cercato di mettere ordine anche nei programmi d’insegnamento, per rivedere l’eccesso di «metodologismo» e di «neutralità» che li ha contrassegnati in questi ultimi anni.
La scuola deve essere «il luogo in cui l’educazione si realizza attraverso la trasmissione di un patrimonio culturale elaborato dalla tradizione, mediante lo studio e la formazione di una coscienza critica». Forse per troppo tempo abbiamo interpretato questa «coscienza critica» come sinonimo di «neutralità». Ma le sfide che abbiamo di fronte ci costringono a cambiare rotta. Una scuola che, ad esempio, voglia venire a capo del problema della diversità, non può essere una scuola neutrale, ma una scuola che, consapevole e attenta ai grandi valori della nostra tradizione occidentale, primo fra tutti la dignità della persona, li sappia presentare anche come prezioso tramite dell’incontro con tutti gli «altri» possibili. Con questo spirito ci stiamo battendo affinché i bambini stranieri immigrati in Italia imparino subito la lingua italiana, il primo vero passo verso una pacifica integrazione. Ma, più in generale, l’azione nel campo della formazione e dell’educazione si è sempre richiamata al principio della responsabilità, invocata anche da Papa Benedetto XVI nella sua enciclica, quando parla di responsabilità dell’educatore, ma anche, e in misura che cresce con l’età, responsabilità del figlio, dell’alunno, del giovane che entra nel mondo del lavoro, e in generale di chi sa rispondere a se stesso e agli altri.
Abbiamo combattuto la cultura del relativismo, riportato il senso della meritocrazia, nelle aule di scuole e università, perché là dove la cultura del relativismo è dominante è difficile avere sia certezze di verità, sia valori, sia convinzioni profonde che reggano la personalità. E l’educazione è formazione della persona e, come ha sottolineato anche Ruini, se mancano certezze e valori è difficile che si possano costruire personalità capaci di affrontare in maniera libera ma responsabile i propri compiti. Il nostro ricorso alla Corte Europea di Strasburgo che si è espressa contro il crocifisso nelle aule, del resto, va in questa direzione: i giudici di Strasburgo hanno ritenuto un dovere dello Stato quello alla neutralità confessionale, con ricaduta espressa nel campo dell’educazione pubblica obbligatoria. Ma, senza contare il fatto che il 91% degli studenti italiani sceglie l’ora di religione a scuola, per il governo il crocifisso rappresenta l’identità italiana e difenderlo nelle scuole significa difendere la tradizione, ma anche favorire l’integrazione.
Anche la questione del Mezzogiorno chiama in causa direttamente l’impegno e la responsabilità di una nuova generazione di cattolici impegnati in politica. La spaccatura fra le due Italie non è un prodotto della Lega – come ha osservato un lucido commentatore – ma è una costante della nostra storia nazionale, un nodo di sempre che ora sta venendo al pettine. In questi anni il divario fra Nord e Sud si è anzi accentuato. In questo contesto, un «partito del Sud» sarebbe la peggiore risposta che si può dare alla questione meridionale. Ci troviamo di fronte al fallimento del tradizionale meridionalismo, soprattutto a causa dell’inadeguatezza delle classi dirigenti meridionali, in particolare dopo l’esito fallimentare e disastroso dell’esperienza di governo della sinistra nelle regioni meridionali. Una forza politica responsabile non può soffiare sulle divisioni, non può alimentare i rancori e le frustrazioni, ma deve cimentarsi con una prospettiva nazionale, deve ripensare lo sviluppo del Sud, il suo rinnovamento, all’interno dello sviluppo dell’intero paese. Ma anche qui non basta enunciare un principio, un progetto: dobbiamo dire come intendiamo farlo. Io credo che siamo sulla strada giusta quando ci poniamo il problema di un Mezzogiorno all’interno dell’ipotesi di un nuovo federalismo, che implica una necessaria responsabilizzazione delle classi dirigenti meridionali.
Un’Italia più unita richiede anche la necessità di superare uno steccato antistorico come quello che rischia di dividere i laici e i credenti, specialmente su questioni concernenti la bioetica. Secondo alcuni commentatori, l’attuale dibattito sul testamento biologico, così come su altre questioni riguardanti la bioetica, evidenzierebbe uno scontro fra una posizione integralista cattolica, fondata sulla difesa dell’indisponibilità della vita, e una piattaforma laicista, incentrata sulla difesa dei diritti dell’individuo. Questa raffigurazione è in realtà frutto di una visione deformata, fortemente condizionata dallo scontro politico e ideologico che in Italia imperversa su qualsiasi questione, anche su materie che dovrebbero contemplare una maggiore equilibrio, una più alta conoscenza scientifica e una doverosa libertà di coscienza. La diversità di opinioni su problemi come quello del testamento biologico coinvolge sia i credenti che i non credenti. I dubbi, gli interrogativi, le preoccupazioni, i dilemmi, le autentiche sofferenze di fronte a questioni complesse come quelle riguardanti la nostra vita e perfino la nostra morte, attraversano in egual modo i credenti e i non credenti, i cattolici e i cosiddetti laici.
La Chiesa ha non solo il diritto, ma il dovere di affermare i principi fondamentali del proprio magistero. I cattolici hanno il dovere di ascoltarla sempre, non solo quando fa comodo, non solo su alcuni punti e altri no. Perché la Chiesa, sia che parli del testamento biologico sia che intervenga sui problemi dell’immigrazione, parla sempre con una voce sola, che discende dagli stessi principi e valori. Per questo coloro che si richiamano a questi principi hanno il dovere di chiarire in che modo intendono tradurre queste radici, questi principi, lo stesso insegnamento della Chiesa in specifici provvedimenti legislativi. Questo è il compito della politica. Spetta alla politica trovare e individuare le soluzioni concrete, elaborare provvedimenti legislativi capaci di tutelare alcuni principi fondamentali, fra cui in primo luogo quello del rispetto della vita umana. Qui c’è lo spazio dell’autonoma responsabilità della politica e dei partiti politici che dichiarano da ispirarsi alla tradizione cristiana e al magistero della Chiesa cattolica, pur nel rispetto della laicità dello Stato in quanto tale. Il risultato finale deriverà non solo dall’impegno dei politici, non solo dalle buone leggi che saranno approvate dai parlamenti, ma alla fine soprattutto dai frutti dell’azione esercitata dalla Chiesa sulle coscienze, dalla conversione delle singole persone, dall’influenza dell’educazione soprattutto sui giovani.

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