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L’Indice delle borse e dei portaborse arabi.

Si è scomodato in  persona  lo sceicco Khalifa bin Zayed,  emiro di Abu Dhabi e  presidente degli Emirati a gettar acqua sul fuoco della crisi. “L’economica negli Emirati è forte e il settore finanziario è efficiente” ha detto in occasione della presentazione del progetto dell’ennesimo palazzo più alto del mondo. Successivamente, i giornali arabi hanno pubblicato una serie di interviste rilasciate dai  manager occidentali delle banche e delle multinazionali che operano negli Emirati che hanno fatto da  eco alle parole dell’emiro e hanno anche dato risalto a un sondaggio secondo il quale il 62% degli stranieri residenti a Dubai e dintorni guardano con ottimismo al futuro economico nell’area, come se  il punto di vista di un business man occidentale fosse più credibile di quello di un manager arabo.  Poi, l’efficienza decantata dal presidente, è stata ostentata dal vice presidente, ma pur sempre emiro di Dubai, lo sceicco Mohammed Bin Rashid Al Maktoum, che ha ordinato al ministero delle finanze di immettere nel sistema bancario degli Emirati un po’ di liquidità,qualcosa come  19 bilioni di dollari; così, dall’oggi al domani, senza discussione nei parlamenti, senza rischiare un voto contro dall’opposizione ( che tra l’altro non esiste), senza dover convincere l’opinione pubblica della validità dell’azione, senza rischiare che alcuni membri del proprio partito o clan votassero contro, insomma, senza competere per gestire il consenso.                                                               Mentre nel resto mondo  gli indici delle borse continuavano a cadere, con un modo di fare  piuttosto autoreferenziale, gli emiri hanno decantato la capacità dell’emirization system nel gestire  le crisi economiche  ed hanno utilizzato la crisi finanziaria made in U.S.A. per far un po’ di promozione all’etica dell’islamization banking sui media internazionali come la Cnn e la Bbc. Nessun organo di comunicazione arabo, neppure uno tra i pochi indipendenti, si è invece permesso di mettere in discussione la presunta  solidità del sistema finanziario arabo. Il rapporto e il linguaggio tra media indipendenti e gli establishment politici è come quello che intercorre tra genitori e figli nella tipica famiglia araba: la comunicazione è aperta, ma certi argomenti sono tabù.                                                                                               Tuttavia, è stato proprio il modo d’agire rapido e unilaterale a mettere  in risalto la tendenza al ribasso dell’arabization system. Il suo più grande asset, ovvero la condizione di giocare secondo le proprie regole in una arena regionale rimanendo  disconnessi dagli organismi e dalle  procedure globali,  da una parte consente ai regimi arabi di stabilizzare gli indici delle loro borse, dall’altra  conferma che l’arabiziation sytem fa sistema in modo efficiente,  solo intorno ai portaborse delle famiglie regnanti, da  Mubarak ai 5000 principi sauditi e company.                                                                                                    Sempre in tema di indici, c’è da registrare  che, in base all’ultimo Good Governance Indicators for the Middle East and North Africa Index  pubblicato dalla World Bank e il Corruption Perceptions Index for the Arab word rivelato dall’organizzazione non governativa Trasperancy International, i paesi arabi vantano gli score più alti negli indici di percezione della corruzione e dell’inefficienza. I regimi arabi, si attesta  in questi  report, non dispongono di qui meccanismi per ridurre la corruzione e penalizzare le responsabilità; devono ancora passare leggi sui conflitti di interesse e sull’arricchimento illegittimo; le agenzie di controllo non sono indipendenti e l’informazione è filtrata. Oggi anno, la regione perde circa 25 bilioni dollari a causa della disoccupazione giovanile; le scuole e le università producono futuri burocrati; il contrasto tra la vita come dovrebbe essere vissuta e quella che si sta vivendo  è  talmente manifesto che neppure il controllo sui media è in grado di confutare.  L’arab street” è diventata  un “arab mall” ha scritto un editoriale di The National, dove dentro si può fare shopping di tutti gli ISMI  possibili ( capitalismo, socialismo, nassersimo, antiamericanismo, salafismo) ma alla fine quello che si paga alla cassa lo decidono ancora i regimi e le teocrazie”. Fuori da quei mall, non si può concludere un gran che, perché i confini di azione e libero arbitrio sono decisi da chi sta in cima alla piramide.  L’unica cosa per la quale i regimi arabi sono attenti  è quello di contenere il livello di radicalizzazione dei giovani e mantenere basso il loro livello di emancipazione socio economico. In questo sono efficientissimi.

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