Ha ragione Gianfranco Fini quando sostiene che il gesto di Bersani – la visita al premier Berlusconi in ospedale e la solidarietà incondizionata espressa in quell’occasione – ha un importante valore politico che non deve essere disperso.
Ed è proprio per questo che è più che opportuna la distinzione tra opposizione democratica, con la quale cercare con tenacia un’intesa per le riforme istituzionali, e opposizione giustizialista, che va invece isolata politicamente e ridotta alla marginalità, così come durante gli anni di piombo furono isolati tutti coloro dimostrarono pericolose corrività con il terrorismo.
Ed è per questo che ha ragione anche Fabrizio Cicchitto quando si assume la responsabilità di indicare con precisione chi faccia parte dello schieramento giustizialista e quale responsabilità abbia nel fornire la benzina che alimenta il fuoco dell’odio e della violenza.
Derubricare l’attentato (così lo definisce Sergio Romano sul Corriere della Sera) a Silvio Berlusconi a gesto isolato di uno squilibrato è un ottimo alibi che i violenti si danno e gli utili idioti concedono. Ignorare che il gesto violento – che simbolicamente rappresenta un omicidio politico – è il fatto che ha reso evidente il livello dello scontro che l’opposizione giustizialista ha perseguito sistematicamente attraverso la character assassination di Berlusconi.
Il 25 aprile, con il discorso di Onna, Berlusconi aveva raggiunto livelli di popolarità mai ottenuta prima da un leader politico. E dal 28 aprile – con le polemiche sulle candidature femminili del Pdl alle Europee – prendeva le mosse una campagna il cui scopo era rendere “indifendibile” il premier agli occhi dell’opinione pubblica, così da preparare il terreno alla sentenza della Corte costituzione che – con la bocciatura del “lodo Alfano” – poteva dichiarare “perseguibile” il premier, riaprendo la stagione della persecuzione giudiziaria volta al rovesciamento del risultato elettorale e alla definitiva rimozione violenta di Berlusconi dall’agone politico.
Per giungere a questo risultato occorreva travolgere molte regole democratiche e costituzionali. Alcuni organi di stampa hanno montato una campagna di calunnie con l’accusa di pedofilia. La magistratura barese ha squadernato una serie di racconti non veritieri e penalmente irrilevanti che dipingevano Palazzo Grazioli come un luogo di dissolutezze lubriche. I fatti familiari del premier sono stati sbattuti in faccia all’opinione pubblica con una rappresentazione volgare e distorta.
Infine la Corte costituzionale, il 6 ottobre, giungeva ad una sentenza tutta politica sul “lodo Alfano” che smentiva la sentenza di pochi anni precedente sull’analogo “lodo Schifani”. In quella occasione la Corte aveva escluso che la legge sulla sospensione dei processi nei confronti delle alte cariche dello Stato dovesse avere la forma della legge Costituzionale. Cosa che invece sta alla base della sentenza del 2009 contro il “lodo Alfano”.
Ed è questa evidente distorsione del diritto, attuata per pure ragioni politiche, che rende giusta la dura polemica del premier nei confronti della Corte. Altro che insofferenza nei confronti degli organi di controllo, come qualcuno a sinistra – e non solo – ha sostenuto.
Questa è – per sommi capi – la fotografia della realtà che abbiamo di fronte. E se non vogliamo disperdere l’importanza del gesto di Pier Luigi Bersani, non possiamo ignorare la verità. Se le riforme costituzionali sono necessarie, non è perché la costituzione va genericamente resa più moderna; ma perché, come ha detto Don Verze “c’è troppa violenza, occorre cambiare la Carta”, occorre un nuovo patto fondativo della Repubblica che metta al riparo dall’uso politico della giustizia e delle istituzioni la vita democratica del Paese e la sovranità popolare.
Il patto proposto dal Pdl all’opposizione democratica ha questo significato e questi obiettivi. Che vanno conquistati comunque. (www.ilpredellino.it)
Ed è proprio per questo che è più che opportuna la distinzione tra opposizione democratica, con la quale cercare con tenacia un’intesa per le riforme istituzionali, e opposizione giustizialista, che va invece isolata politicamente e ridotta alla marginalità, così come durante gli anni di piombo furono isolati tutti coloro dimostrarono pericolose corrività con il terrorismo.
Ed è per questo che ha ragione anche Fabrizio Cicchitto quando si assume la responsabilità di indicare con precisione chi faccia parte dello schieramento giustizialista e quale responsabilità abbia nel fornire la benzina che alimenta il fuoco dell’odio e della violenza.
Derubricare l’attentato (così lo definisce Sergio Romano sul Corriere della Sera) a Silvio Berlusconi a gesto isolato di uno squilibrato è un ottimo alibi che i violenti si danno e gli utili idioti concedono. Ignorare che il gesto violento – che simbolicamente rappresenta un omicidio politico – è il fatto che ha reso evidente il livello dello scontro che l’opposizione giustizialista ha perseguito sistematicamente attraverso la character assassination di Berlusconi.
Il 25 aprile, con il discorso di Onna, Berlusconi aveva raggiunto livelli di popolarità mai ottenuta prima da un leader politico. E dal 28 aprile – con le polemiche sulle candidature femminili del Pdl alle Europee – prendeva le mosse una campagna il cui scopo era rendere “indifendibile” il premier agli occhi dell’opinione pubblica, così da preparare il terreno alla sentenza della Corte costituzione che – con la bocciatura del “lodo Alfano” – poteva dichiarare “perseguibile” il premier, riaprendo la stagione della persecuzione giudiziaria volta al rovesciamento del risultato elettorale e alla definitiva rimozione violenta di Berlusconi dall’agone politico.
Per giungere a questo risultato occorreva travolgere molte regole democratiche e costituzionali. Alcuni organi di stampa hanno montato una campagna di calunnie con l’accusa di pedofilia. La magistratura barese ha squadernato una serie di racconti non veritieri e penalmente irrilevanti che dipingevano Palazzo Grazioli come un luogo di dissolutezze lubriche. I fatti familiari del premier sono stati sbattuti in faccia all’opinione pubblica con una rappresentazione volgare e distorta.
Infine la Corte costituzionale, il 6 ottobre, giungeva ad una sentenza tutta politica sul “lodo Alfano” che smentiva la sentenza di pochi anni precedente sull’analogo “lodo Schifani”. In quella occasione la Corte aveva escluso che la legge sulla sospensione dei processi nei confronti delle alte cariche dello Stato dovesse avere la forma della legge Costituzionale. Cosa che invece sta alla base della sentenza del 2009 contro il “lodo Alfano”.
Ed è questa evidente distorsione del diritto, attuata per pure ragioni politiche, che rende giusta la dura polemica del premier nei confronti della Corte. Altro che insofferenza nei confronti degli organi di controllo, come qualcuno a sinistra – e non solo – ha sostenuto.
Questa è – per sommi capi – la fotografia della realtà che abbiamo di fronte. E se non vogliamo disperdere l’importanza del gesto di Pier Luigi Bersani, non possiamo ignorare la verità. Se le riforme costituzionali sono necessarie, non è perché la costituzione va genericamente resa più moderna; ma perché, come ha detto Don Verze “c’è troppa violenza, occorre cambiare la Carta”, occorre un nuovo patto fondativo della Repubblica che metta al riparo dall’uso politico della giustizia e delle istituzioni la vita democratica del Paese e la sovranità popolare.
Il patto proposto dal Pdl all’opposizione democratica ha questo significato e questi obiettivi. Che vanno conquistati comunque. (www.ilpredellino.it)