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La Paraitalia mette in ansia l’Italguay

Dopo quel rigore di Fabio Grosso, dopo la grande festa di Germania, un pensiero ha attraversato le menti del tifoso italico: “E’ adesso?” Ora che l’urlo di Tardelli non è più un ricordo da evocare e da emulare, cosa resterà? Cosa dovremo rincorrere? Le vittorie, si sa, danno un illusorio senso di appagamento. Che dura (purtroppo o per fortuna) solo il tempo di un rigore sognato e atteso 24 anni. Poi tutto muore. O meglio rinasce.
A poche ore di Italia – Paraguay, infatti, la tensione è quella di sempre. Così come quel bruciore di stomaco e quei tormenti mentali che ti fanno preoccupare e sperare. Dubbi, certezze. Poi la formazione: c’è Iaquinta, insieme a Gilardino. E Montolivo a sostituire Pirlo. Lippi non sorprende. E anche il suo volto in panchina è tirato, nonostante il trionfo di Berlino.
Inizia finalmente il mondiale africano. L’Italia c’è. Soprattutto Pepe. Che corre su e giù sulla fascia e prova pure a fare il centravanti. Così come De Rossi, che sembra giocare con  due fratelli gemelli. Uno in difesa, l’altro a centrocampo. E poi il centravanti che, di rapina, in area, si concede anche il lusso del gol. Ma hanno tutti e tre barba lunga e look da boscaiolo. Quindi Daniele è uno e trino: leader indiscusso annunciato degli azzurri.
Ma c’è troppa leziosità, poco mordente. Per questo la Paraitalia con un colpo di testa supera Buffon e mette in ansia l’Italguay. A loro la sostanza, a noi gli inutili virtuosismi. Un mondo del pallone alla rovescia.
Di male in peggio nella ripresa. Marchetti in porta fa venire l’angoscia. Per chi ha fumato nell’intervallo la sua agognata sigaretta è un fulmine a ciel sereno: e Buffon che diavolo di fine ha fatto? Meno male che le cose si mettono a posto e il pareggio tiene viva la fiducia. Ma a far ben sperare è la condizione fisica dei ragazzi di Lippi, cresciuta col passare dei minuti.
Lo stesso ct ammette ai microfoni  che sono mancati gli ultimi metri. Alberto Gilardino non è stato sempre all’altezza. Un po’ confuso e un po’ spaesato. Ma prima di lui ci sono stati Rossi e Baggio. Dormienti agli esordi, esplosivi e decisivi nei momenti che contano davvero.
Ecco: come non detto. Sempre con i corsi e ricorsi storici. E con quel pizzico di nostalgia che in fondo non ti abbandona mai. Serve una rotonda vittoria, domenica, con gli enigmatici neozelandesi per scacciare via i fantasmi.  

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