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La Democrazia Governante

Gentili Signori, gentili Signore, cari amici,
siamo alla vigilia di un appuntamento importante – il Congresso fondativo del Popolo della Libertà – nel corso del quale si discuterà sicuramente di tante cose; ma ho seri dubbi che si spenderanno sufficienti parole sulla questione centrale che sta di fronte alla politica italiana: l’inadeguatezza delle nostre Istituzioni alle esigenze di uno Stato moderno che ha la necessità di monitorare ogni giorno la molteplicità delle leggi necessarie alla regolazione della vita sociale.
Il duro conflitto scoppiato tra Governo e Quirinale sulla decretazione d’urgenza e quello, ripetuto dieci volte, tra il Presidente del Consiglio e il Presidente della Camera sulla lentezza dei lavori parlamentari e sulle regole che li governano, sono qualcosa di più di semplici segnali di incomprensione o di malessere: sono il sintomo di una architettura istituzionale che non regge più al confronto con i tempi, sono il campanello d’allarme di una situazione che va corretta rapidamente, e fino in fondo, se non si vuole andare incontro ad una crisi che potrebbe travolgere la vita democratica del Paese. Non è questione di prestigio o di rivalità personali. Il Presidente Napolitano poteva evitare di mettere per iscritto la sua contrarietà al decreto salvavita di Eluana Englaro, un provvedimento la cui urgenza è stata dimostrata dalla morte prematura della persona cui era destinato. Il Presidente Fini sbaglia a farsi paladino di procedure ottocentesche: non è il Segretario Generale della Camera, scrupoloso tutore dei regolamenti, ma il Presidente di una Assemblea legislativa ed ha il dovere di assicurarne la massima produttività.
E sottovoce vorrei osservare anche che c’è modo e modo di manifestare il proprio dissenso: c’è un modo per andare sui giornali e c’è un modo diverso per contribuire a risolvere il problema. Perché il problema della lentezza dei lavori parlamentari esiste, è grave, e minaccia di mettere in crisi l’attuazione di un programma di riforme promesso agli elettori.
Mi corre l’obbligo, a questo punto, di citare Luciano Violante che in una lettera al “Corriere della Sera” cita esempi clamorosi sulle disfunzioni provocate dall’andazzo della legislazione italiana e propone soluzioni ben più drastiche del timido accenno al voto del capogruppo avanzato da Berlusconi. Violante osserva che le grandi imprese – cita l’Enel e le Autostrade – sono costrette ad avere più avvocati che ingegneri (per numero di avvocati siamo terzi in Europa e per numero di ingegneri siamo invece quartultimi) e propone di ridimensionare fortemente il ruolo della legge, di incentrare l’attività del Parlamento sul controllo dell’Esecutivo e su pochi grandi provvedimenti, di trasformare l’opposizione in partecipazione, di limitare i ricorsi al tribunale amministrativo, di obbligare le pubbliche amministrazioni alla realizzazione delle opere nei tempi e con i costi previsti.
Per entrare direttamente nel tema di questo nostro Convegno è d’obbligo rifarsi ad un uomo che riconobbe l’urgenza di una riforma costituzionale, morale, amministrativa fin dal lontano 1978. Alla Grande Riforma, ebbe a dire Bettino Craxi ad Hammamet, io ho pensato tutti i giorni, ma senza mai trovare una maggioranza per attuarla. Non è stato solo Craxi a fallire: hanno dichiarato fallimento il Comitato Riz Bonifacio, la Commissione Bozzi, la Commissione De Mita e quella D’Alema.
“La Costituzione non si tocca è stata la parola d’ordine dei conservatori di tutti i colori” ha detto lapidariamente Bettino in un Comitato Centrale del Psi del 1982, interamente dedicato all’urgenza della grande riforma. Una frase che trova la sua conferma nello smarrimento del Partito Democratico che nel 2009 chiama Scalfaro, il peggiore Presidente nella storia della Repubblica, il primo responsabile della distruzione della Prima Repubblica, a tenere un pubblico comizio in difesa della Costituzione vigente.
Per parlare di democrazia governante non posso non rifarmi a mio padre che ne fu il paladino, anche perché da allora non è cambiato niente, i problemi sono sempre gli stessi, accentuati dalla velocità dei tempi.
“La democrazia deve vivere e governare – ha scritto Bettino –. La democrazia governante è un’idea di vitalità della democrazia, sottratta agli immobilismi, la lentocrazia, le paralisi di vario tipo che la condannano alla sclerosi e alla decadenza”.
Vorrei soffermarmi un momento sull’affermazione che la democrazia governante è la vitalità della democrazia. E’ un concetto che capovolge il convincimento comune che la democrazia è un sistema di controlli per impedire abusi e derive. E’ vero che la Costituzione italiana, nata a ridosso dell’esperienza fascista, prevede governi deboli e concentra nel Parlamento i massimi poteri; ma è altrettanto vero che una esasperazione della lettera costituzionale, conducendo alla paralisi della governabilità, provoca la fine della democrazia: e in Italia il tarlo ha già attecchito con l’Italia dei Valori di Di Pietro.
Può sembrare un assurdo, ma per denunciare la situazione ed avanzare proposte io non ho nulla da aggiungere a quanto detto e scritto da Craxi.
Cito parole del 1982: “… Le Istituzioni che hanno consentito la crescita sociale e civile dell’ultimo quarantennio hanno compiuto la loro missione … a distanza di anni, e colmate ormai le profonde fratture di allora, esse appaiono indebolite nella autorità, nella responsabilità, nell’efficienza che sono invece necessarie nella società cresciuta di oggi, per le esigenze del suo maggiore sviluppo, della sua modernizzazione, della nuova dimensione europea, per l’efficace tutela dei vecchi e dei nuovi diritti del cittadino”. Ed ancora: “Al punto in cui siamo è fondamentale giungere a un cambiamento delle regole uscendo dal circuito vizioso in cui stiamo cadendo. Ne hanno bisogno i partiti per avviare una rigenerazione che può venire solo da un rinnovato radicamento sociale; ne hanno bisogno le istituzioni per riacquistare lo spessore e l’autorità democratica che possano accrescerne la sensibilità, la responsabilità e l’efficienza”.
In fatto di proposte, Craxi non si tirava indietro. Indicava un regionalismo non più soffocato dalle burocrazie centrali, autenticamente politico, radicato nelle comunità locali, fondato su principi di uguaglianze “che deve essere anzitutto uguale diritto di ogni comunità”. Regioni: e non Stato Regioni e tantomeno repubbliche. Sullo Stato: uno Stato fortemente decentrato che rafforza in tal modo l’unità nazionale…
La questione del bicameralismo perfetto si presenta come una delle più spinose; il superamento dell’attuale sistema è necessario, ineludibile, e aggiunge l’idea – siamo nel 1982 – di un Senato trasformato in Camera delle Regioni.  “Senza ostacoli – aggiunge – mi sembra invece che avanzi la tesi di un Primo Ministro che sia l’unico a godere della fiducia del Parlamento, che possa essere rimosso con la “fiducia costruttiva” e che abbia il potere di proporre non solo la nomina ma anche la revoca di ministri”.
 Come si vede, tutti temi di stringente attualità, e sono passati quasi trent’anni, in cui la crisi si è aggravata fino a mettere le forze politiche di fronte a un vero e proprio “aut aut”: o si cambia o si va al naufragio.
 Prima di lasciare la parola al prof. Antonini, che illustrerà la storia tormentata di questa riforma, la sua necessità, le forme che dovrà prendere, consentitemi un piccolo sfogo alla vigilia di un avvenimento di grande importanza come il congresso del PDL, l’ufficializzazione dell’incontro tra Forza Italia e Alleanza Nazionale.
In vista di questo avvenimento si è parlato di tutto fuorché della grande riforma che condizionerà la vita dei partiti. Eppure i segnali della necessità di un cambiamento non mancavano. La grande maggioranza di cui il PDL dispone alla Camera non ha fatto una bella figura sulla legge per le intercettazioni; non la sta facendo sulla riforma della giustizia, avanti e indietro, dieci ipotesi e cento dichiarazioni, una esposizione oltre misura del leader, di Berlusconi per evitare che tutto si fermi. Non credo che con le attuali regole, con gli attuali sistemi si possa andare lontano.
La democrazia deve poter governare. La democrazia governante è la vita della stessa democrazia.

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