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Intorno al premier serve un cambio di passo

La Sinistra ha scatenato la bagarre,ma l’entourage di Berlusconi avrebbe potuto agire meglio. Come? Portando maggioranza e opposizione a parlare solo di cose serie. Uno spin doctor del Cavaliere chiarisce la questione
Proprio all’inizio di luglio il di- rettore di questo settimanale, Angelo Crespi, ha aperto sulle pagine del Corriere della Sera una discussione sulla strategia di comunicazione di Berlusconi e del suo entourage. Purtroppo nessuno ha ritenuto di rispondere alle osservazioni di Crespi, secondo una nota tattica negazionista per la quale è suffi- ciente ignorare un problema perché esso, il problema, smetta di essere tale. Purtroppo le cose non stanno così e le vicissitudini politico-me- diatiche degli ultimi due mesi dimo- strano il contrario.
Crespi ha sostenuto che nessuno tra i consiglieri di Silvio Berlusconi sembra ricordare L’arte della guerra di Sun Tzu. «Chi per primo occupa il campo di battaglia e si predispone in attesa del nemico sarà in vantaggio. Chi invece raggiungerà ilcampo in un momento successivo e sarà costretto a correre per occupare le posizioni vi arriverà esausto», aggiungendo poi che «non bisogna mai accamparsi su un terreno pericoloso».
Nel suo articolo, Crespi sottolineava come nessuno avesse sconsi- gliato il premier di accamparsi su un terreno pericoloso e lì ingaggiare battaglia, tanto che le manovre di- fensive messe in atto sembrano frutto di una tattica di breve respiro più che di una strategia di lungo perio- do: da un lato minimizzare o nega- re, dall’altro contrattaccare secondo la linea «tutti colpevoli, nessun col- pevole», linea che si rivela in realtà sempre suicida per la semplice ragione che – vale la regola principe della comunicazione – la campagna originale prevale sulle imitazioni, e dunque il primo “colpevole” è “più colpevole degli altri”.
Diciamoci la verità. Un entourage più smaliziato alla bisogna avrebbe potuto chiudere il Casoria Gate in meno di tre giorni dal presunto scoop de la Repubblica del 28 aprile. Sarebbe stato sufficiente dire che il presidente del Consiglio era andato là perché invitato da una famiglia qualunque a una festa qualunque. Ci siamo dimenticati tutti i pranzi e le cene che Walter Veltroni organizzava in casa di famiglie d’ignoti in quasi ogni tappa del suo tour elettorale? E mai qualcuno si è chiesto perché fosse andato proprio in quella casa e non in un’altra?
Invece, a partire da quella situazione, c’è stata una valanga mediatica che ha coinvolto tutta la vita privata del premier, rappresentata in un modo così clamorosamente distante dalla realtà tanto da minacciare la credibilità stessa dell’uomo. Sarebbe stato sufficiente immettere nella comunicazione argomenti politici forti per spostare il campo di scontro e imprimere all’opinione pubblica lo spin favorevole al governo e alla leadership berlusconiana.
C’è un aspetto della vicenda che non è stato toccato, che però vale la pena di approfondire: il rapporto del mondo berlusconiano con la classe dirigente economica e culturale del Paese.
Berlusconi è un leader politico in grado di aggregare uno schiera mento maggioritario (e in prospettiva storica di costituire un unico partito del Centrodestra italiano) grazie alla sua estraneità all’estabilshmen t politico, economico e culturale dell’Italia e, insieme, alla sua sensibilità naturale verso i sentimenti più profondi del popolo italiano.
Un caso esemplare è rappresentato dalla vicenda Alitalia, che merita di essere raccontata. Tutti sanno che, nei giorni in cui falliva la trattativa tra il governo italiano a guida Prodi-Padoa Schioppa e l’Air France guidata da Jean-Cyril Spinetta, Silvio Berlusconi lanciò l’idea della cordata italiana, mentre Giulio Tremonti si mostrava cautamente favorevole a una cessione – a condizioni migliori di quelle negoziate da Prodi – ad Air France.
La razionalità stava tutta dalla parte di Tremonti, per ragioni economiche e di efficienza del sistema; tanto più che chi ricorre maggiormente al trasporto aereo chiede solo tre cose: buoni prezzi, puntualità, servizi decenti a bordo e a terra. Chiunque li fornisca, qualunque casacca indossi va bene.
La razionalità politica, però, stava tutta dalla parte di Berlusconi. Il 60 % degli italiani, infatti, considerava uno smacco per l’Italia, una rinuncia alla sovranità il non avere una compagnia di bandiera. E, particolare importante, la maggior parte di quel 60% non vola mai o quasi mai. E dunque ha poche occasioni per comprendere se l’immagine chela compagnia di bandiera trasmette sia positiva o negativa. Ma quello che è importante è avere una compagnia di bandiera, così come occorre avere una nazionale di calcio; perché se hai la nazionale puoi vincere o puoi perdere, ma senza non vai ai mondiali.
Il punto è che però, nella classe dirigente la linea politica della cordata italiana va veicolata con argomenti forti sulla redditività dell’impresa, sul ruolo strategico di una compagnia aerea per il turismo, sulla necessità di dare forza alle imprese nazionali che danno servizi ai vettori e così via. Non basta l’idea che una nazione è tale se ha, oltre alla bandiera, la compagnia di bandiera..
Ebbene, tutto il lavoro di individuazione degli item necessari a spostare l’equilibrio dei ceti dirigenti verso il Centrodestra non viene svolto da (quasi) nessuno. Così come non c’è (quasi) nessuno che si preoccupa di dare una forte linea di comunicazione a tutta quella parte di classe dirigente che con il Centrodestra è già schierata. È abbastanza ovvio che un ruolo di questo genere non può che essere svolto da un grande quotidiano. Ed è altrettanto abbastanza ovvio che – tolta la Repubblica che rappresenta il più forte partito antiberlusconiano– i principali quotidiani per diffusione e autorevolezza, Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore in primis, sono collocati in un’aerea politica non proprio di Centrodestra: Ferruccio de Bortoli è moderatamente di Centrosinistra, Gianni Riotta è il direttore del Tg1 dell’era dell’Unione.
In questo panorama il Giornale dovrebbe diventare strategico. E dovrebbe cercare di svolgere il ruolo che aveva individuato alla nascita Indro Montanelli. Quello cioè di un autorevole quotidiano non gridato di Centrodestra, in grado di contendere il primato sul campo al Corriere della Sera che dagli anni Settanta è più a sinistra.
Che il ruolo de il Giornale fosse cruciale nella strategia di Berlusconi è testimoniato dal fatto che Montanelli, non condividendo il progetto politico del suo editore, abbandonasse la direzione assunta poi, nel 1994, da Vittorio Feltri, altro giornalista di razza proveniente da via Solferino e che allora dirigeva L’Indipendente con successo, tanto che – con le sue 130 mila copie – aveva saccheggiato lo spazio de il Giornale, sui cui realizzò il sorpasso.
Con l’arrivo di Vittorio Feltri e l’endorsment a favore di Berlusconi, il Giornale giunse a 250mila copie, mentre attualmente si attesta sulle 200mila copie, con il concorrente Libero di Vittorio Feltri a 130mila.
Il punto è che il diretto competitor de il Giornale non dovrebbe essere Libero, quotidiano “tifoso” di
area Pdl-Lega, ma il Corriere della Sera (600mila copie circa) e Il Sole 24 Ore (300mila). Sono questi i due quotidiani più letti dalla borghesia produttiva che il Pdl dovrebbe avvicinare definitivamente al proprio disegno riformatore.
Invece il Giornale è oggi schiacciato su Libero. Il taglio editoriale, i commenti, la grafica, i titoli, tutto è orientato a competere con il foglio corsaro di Vittorio Feltri. Che avendo il vantaggio di non essere legato (quasi) a nessuno e di potersi “smarcare” da Berlusconi quando crede, si muove con maggiore agilità nei confronti del pubblico tifoso.
Una strategia intelligente di comunicazione, oggi, prevederebbe di lasciar correre “sulla fascia” Libero, magari cedendo anche lettori “tifosi”, ma di ricollocare “al centro del campo” il Giornale, per conquistare quella prateria di lettori che danno a Berlusconi il consenso nelle urne, ma glielo negano in edicola. Questo è il nodo che la famiglia Berlusconi, editore de il Giornale, deve sciogliere al più presto. Berlusconi politico ebbe bisogno di un quotidiano schierato. Berlusconi statista ha bisogno di un quotidiano forte e autorevole (da Il Domenicale).

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