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Il teorema dei candidati PD

Passano i mesi, passano gli anni ma la situazione per il PD non migliora. Ha ragione il direttore del Riformista, Antonio Polito, quando scrive che ‹‹non saranno i candidati a salvare il PD, perché alle regionali non sono i candidati a fare la differenza. La differenza la fa la politica››.
Perché sbaglia il PD? Perché si affida alla logica spartitoria e meccanicista che ha dominato tutta la storia dei post comunisti e che infatti trova in Puglia il suo esempio più alto, Massimo D’Alema. Cosa fa D’Alema? Vuole imbarcare a tutti i costi i centristi, ha bisogno di un candidato che glielo permetta e allora punta su Boccia, ovvero – politicamente – il nulla travestito di nulla che però in quanto ‘lettiano’ e non comunista, consente a Casini di lanciare un’alleanza con il partito fondato da Prodi. I pugliesi, come gli italiani, però, non sono sciocchi. Hanno saputo della sceneggiata dei sostenitori di Vendola all’assemblea regionale del PD. Hanno letto della norma ad personam che avrebbe dovuto consentire ad Emiliano di candidarsi senza dimettersi da sindaco di Bari. Hanno visto che il centro sinistra è al mercato delle vacche. E hanno anche constatato che – vuoi per virtù, vuoi per necessità – a questo mercato il PDL si è sottratto, avanzando un nome nuovo e pulito, anche se non particolarmente conosciuto, come il magistrato Stefano Dambruoso. E oggi, con Boccia in campo, le possibilità che il centro sinistra perda sono ulteriormente aumentate: certo, forse D’Alema convolerà a nozze con Casini. Ma Vendola andrà per i fatti suoi, Emiliano si disimpegnerà, Poli Bortone cercherà sponde nel centro destra e alla fine l’operazione naufragherà nel modo peggiore. La politica non si fa con le somme algebriche e una bella faccia, occorre un progetto politico. Ed è questo che manca al PD dappertutto, non solo in Puglia: in Liguria è attaccato al sistema di potere di Burlando. In Lombardia grida alla luna, confidando nelle inchieste giudiziarie. In Veneto prega l’Udc e spera nei maldipancia forzisti per la candidatura di Zaia. Si può andare al voto così? Certo, ma per perdere. Una lezione al PD l’hanno data i Radicali, candidando Emma Bonino nel Lazio. Finora Renata Polverini sta ‘arando’ da sola l’agro romano, grazie ad un Partito democratico paralizzato dalle lotte intestine tra veltroniani e dalemiani. Il povero Bersani tenta così di responsabilizzare l’ultimo golden boy della sinistra romana, Nicola Zingaretti, investendolo del ruolo di esploratore di una soluzione che riunisca il centro sinistra contro l’ennesima offensiva del centro destra. Basterà mettere ‘nu bello guaglione’ come candidato governatore e incollare intorno a lui liste, listine e listoni per arrivare al 51%? Decisamente no. L’esperienza dell’armata brancaleone prodiana è troppo viva nella memoria degli italiani perché caschino nuovamente nel sacco.
Eppure il PD ha di fronte a sé non una strada, ma un’autostrada a 8 corsie. Tutti i sondaggi – da quelli dell’istituto Crespi a quelli di ISPO – segnano una ripresa del consenso del partito con l’ascesa di Bersani alla segreteria. Nulla di eccezionale, per carità. E nessun elettore recuperato all’Udc, o all’area del non voto, tanto meno al centro destra. Però il flusso di voti che si era trasformato in un’emorragia a favore di Di Pietro si è arrestato. E invertito. Con la fisionomia più trasparente di Bersani rispetto a quella inconsistente di Franceschini, il PD può iniziare a fare politica, presentandosi come alternativa politica e di governo, tentando insomma un percorso di lungo respiro. Ha ancora tre anni davanti, che sono molti. Se rinuncerà alle illusioni di implosioni della maggioranza, dimissioni anticipate del governo e arrendevolezza del premier, allora il nostro Paese avrà compiuto un enorme passo avanti.
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