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Il “nuovo” di Franceschini salverà il Pd?

“Ascolterò chi ha avuto ruoli di responsabilità nel governo e in politica dal ’96 a oggi, ma ho intenzione di investire in una nuova squadra di donne e uomini cresciuti nella militanza: sindaci, amministratori, segretari locali, coordinatori di circolo. Fuori da ogni vecchio schema, fuori da ogni superata appartenenza. Non farò nessun accordo di palazzo, nessuno scambio di incarichi tra big nazionali, nessun patto, non ci sarà nessuna garanzia per nessuno”.
Dario Franceschini, il traghettatore, adesso decide di fare sul serio e di prendersi la guida del Partito Democratico. Sul suo sito un videomessaggio in bella vista per annunciare la candidatura. L’avversario da battere è Bersani, sostenuto da quella vasta area di ex Ds che esclude solo i veltroniani.
A Franceschini non manca certo la favella e a quanto pare nemmeno le idee, che sembrano far leva su due concetti chiave: rottura e rinnovamento.
Ma mentre si attende cosa di buono verrà fuori da questo nuovo dibattito interno al partito, non si può fare a meno di gettare un attimo lo sguardo verso il recente passato per comprendere cosa ha combinato in realtà l’ex democristiano di Ferrara. 
Il suo Pd – è un dato di fatto incontrovertibile – ha perso tanto terreno, ma lui non ha esitato ad esultare per aver contenuto il disastro, prevedendo tra l’altro un non poco discutibile “declino della destra”. Ciò che però invita davvero a riflettere è la palese contraddizione che emerge dal confronto del suo annuncio telematico  con le note strategie mediatiche e politiche degli utilimi mesi.
Il “nuovo”di Franceschini deve fare i conti con una campagna elettorale, quella appena trascorsa, che non sarà certo ricordata per  gli apprezzabili contenuti. Ha cavalcato, superando addirittura i suoi predecessori, l’onda mediatica che puntava a travolgere il nemico Berlusconi. Non si è mai tirato indietro, sempre pronto a sottolineare ogni attacco gossipparo. E ci ha messo del suo, lasciando ai posteri una memorabile perla: “Fareste educare i vostri figli da uno come Berlusconi?”
Il “nuovo” di Franceschini deve vedersela poi con la retorica della resistenza, sempre quella, che è tutto tranne che una novità. La resistenza con la r minuscola, dato il significato di parte che le si vuole attribuire e le annesse, solite strumentalizzazioni elettorali.
Il “nuovo” di Franceschini deve, in generale, per forza di cose scontrarsi con una politica un po’ antica, nel senso meno nobile del termine, fatta di chiusure  identitarie, azzeramento del dialogo, attacchi personali e moralismi spicci che, visti i risultati finali, non pagano affatto.
Il tanto bistrattato Veltroni, dopo la disfatta sarda, ha avuto il coraggio di gettare la spugna.
A Dario invece non basta indietreggiare paurosamente in Europa e perdere le roccaforti rosse per accorgersi che i conti non tornano. E anche questa, purtroppo, non è una novità.
 

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