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Gli anni della peggio gioventù

Giampiero Mughini ci ha regalato un altro capolavoro: è “Gli anni della peggio gioventù. L’omicidio Calabresi e la tragedia di una generazione” (ediz. Mondadori, 18 euro) un libro di cui si sentiva assolutamente il bisogno per capire cosa sono stati gli anni ’70 nel nostro Paese. Mughini scrive con l’abituale stile avvincente ed introduce il lettore nel mondo tragico e contorto dell’estremismo di sinistra indagando senza reticenze nella dolorosa e vigliacca vicenda che ha portato all’uccisione del commissario Calabresi, padre dell’attuale direttore della Stampa.
Nella sua qualità di ex direttore responsabile di Lotta continua, non già per identità di vedute con gli estremisti ma per rispetto della propria inclinazione liberale, Mughini ci racconta vita, morte e miracoli di tutti i cattivi maestri di Lotta continua che ancora oggi pontificano sui giornali e in televisione insegnando agli Italiani come ci si comporta.
E’ nella caratterizzazione dei protagonisti dell’assassinio del commissario Calabresi che Mughini si supera. Anzitutto con il ritratto del pentito Luigi Marino, oggi venditore di crêpes a Bocca di Magra, a pochi minuti dalla cittadina ligure di Sarzana (SP).
Il resoconto di Mughini è tuttaltro che superficiale e prende le mosse da Pisa dove, il 13 maggio 1972, il giorno del comizio di Sofri in memoria dell’anarchico Franco Serantini, Marino avrebbe ricevuto dal leader di Lc il mandato a uccidere il commissario di polizia. Mughini quel giorno c’era. E, scrive, «non è vero che a comi¬zio concluso sarebbe stato assolutamente im-possibile, a causa della pioggia battente, bivaccare ancora un po’ in piazza». Perché «la piog¬gia in quel momento era finita». «C’era stato, lo dico in via di ipotesi, il tempo perché alme¬no un attimo si incontrassero» Sofri e Mari-no. Anche perché «non è vero quel che ha so¬stenuto con veemenza la difesa, che i bar pisa¬ni fossero chiusi quel pomeriggio del 13 mag¬gio. Non lo erano affatto».
Un pesante j’accuse, quello di Mughini a Sofri. Eppure l’autore non si sbilancia mai nel condannarlo. Tutt’altro. Mughini precisa piuttosto: «Io non reputo che Sofri abbia dato l’ordine di uccidere. O più precisamente non lo reputo provato. Che è poi la sola cosa che conta». Al tempo stesso, però, l’autore sostiene che sia stato lo stesso Sofri a confessare parte della verità sull’assassinio di via Cherubini. Sarebbe avvenuto un anno fa sulle pagine del Foglio. Scrive Mughini: «Sofri sapeva dell’azione contro Calabresi, ma non ne era stato il responsabi¬le, non era stato quello che l’aveva decisa e ordinata». Eppure si addossa tutta in¬tera la storia della sua organizzazione, al punto da de¬finire «non malvagi» e an¬zi «mossi dallo sdegno e dalla commozione per le vittime» gli autori dell’omi¬cidio Calabresi. Deduce Mughini che «se uno spen¬de parole talmente impegnative nei confronti di chi uccise Calabresi, vuol dire che li conosce per no¬me e cognome e curriculum».
C’è una sensazione che permea le belle pagine scritte da Mughini, l’idea che l’autore abbia scelto di liberarsi degli incubi di un passato che sente in parte proprio. Eppure mai l’autore ha inneggiato alla violenza, mai si è macchiato di simili vigliaccherie. C’è un tono composto e moralmente elevato in questo libro. Si percepisce forte il desiderio di fare piazza pulita di ipocrisie e falsità dette in televisione e scritte sui giornali.
E allora lo scrittore si attiene fedelmente e fermamente alle carte processuali, ai documenti, agli atti, alle prove che inchiodano Marino, Bompressi e Pietrostefani. Ma l’interlocutore finale è sempre lui, Adriano Sofri. “Gli anni della peggio gioventù” è un libro educativo ed emozionante, che colpisce il lettore fin dalla prima pagina, dove è riportato uno stralcio del numero del giornale Lotta continua datato primo ottobre 1970: ‹‹Siamo riusciti a trascinarlo in tribunale e questo (…) è solo l’inizio. Il terreno, la sede, gli strumenti della giustizia borghese, infatti, sono giustamente del tutto estranei alle nostre esperienze, alle nostre lotte, alle nostre idee e non è certamente dalla legge dello stato capitalista che ci attendiamo la punizione di un suo servo zelante (…). Ma dentro l’aula (…) dentro il tribunale (…), il proletariato emetterà il suo verdetto, lo comunicherà e ancora là nelle strade e nelle piazze, lo renderà esecutivo. Calabresi ha paura, ed esistono validi motivi perché ne abbia sempre di più (…). Sappiamo che l’eliminazione di un poliziotto non libererà gli sfruttati; ma è questo, sicuramente, un momento e una tappa fondamentale dell’assalto del proletariato contro lo Stato assassino››. Parole che fanno tremare i polsi. Ma “Gli anni della peggio gioventù” è molto più di questo. Leggetelo. È commovente, ma fa bene (Da A Voce Alta del 26 marzo 2010). 

 

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