Politica

La Caporetto di Fini

Pontificando, pontificando si finisce per dire castronerie. E di quelle grosse.
È il caso di Gianfranco Fini che in un’intervista al quotidiano La Stampa non ci risparmia proprio nulla della retorica sull’Unità d’Italia. Il povero Ugo Magri è così costretto a spendere fiumi d’inchiostro per perle d’eccezione come: “Ovviamente depreco questo atteggiamento (di Roberto Calderoli, ndr) di sostanziale negazione dell’unità d’Italia”, “il cardinal Bagnasco dice cose sacrosante”, “l’Italia è già unita come risultato di comuni sofferenze” oppure “A me preme soprattutto l’approccio culturale”. E si vede, si vede e si legge come gli prema un “approccio culturale diverso”. È così diverso l’approccio culturale di Fini al Risorgimento che, nell’impeto di dar lezioni a tutti, Berlusconi e Bondi, leghisti o altri, finisce per raccontare che le battaglie del Carso sono state combattute dopo e non prima di Caporetto. Complimenti! Dieci e lode, come si sarebbe detto un tempo. Prima di insegnarla agli altri, la storia patria, vogliamo ripassarla? La cosiddetta rotta di Caporetto, nell’ambito della dodicesima battaglia dell’Isonzo tra austroungarici e italiani, seguì appunto la logorante guerra di trincea che i nostri soldati combatterono con straordinario coraggio, spaventosa perdita di vite e magri risultati. Appare quindi irrispettosa nei confronti della loro memoria e della nostra intelligenza che il presidente Fini dichiari: “Proprio qui sta l’approccio culturale diverso! (con Calderoli, ndr) L’Italia è già unita. Lo è già come risultato di comuni sofferenze, di impeti generosi come sulle trincee del Carso dopo Caporetto, e poi nella guerra di Liberazione, nella ricostruzione…” (Da A Voce Alta del 5 maggio 2010). 

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