Agli italiani poco o nulla interessa del destino della Commissione di Vigilanza Rai e del suo presidente eletto, Riccardo Villari. Ma tant’è: se il Corriere della Sera “apre” l’edizione di lunedì sull’ultima puntata della Vigilanza significa che l’argomento suscita l’interesse se non di chi legge, almeno di chi scrive.
La notizia di questi giorni è che il PdL si sarebbe deciso a favorire la rimozione di Riccardo Villari dalla presidenza della commissione. Una rimozione che, come ha avuto modo di spiegare molteplici volte il costituzionalista Paolo Tesauro (e non solo lui), non ha alcun fondamento nel diritto, nei regolamenti parlamentari e tanto meno nella prassi.
Tuttavia non si può non fare i conti con la lettera firmata da Cicchitto, Gasparri, Bocchino e Quagliariello che imprime alla vicenda una svolta politica ma che sembra contenere un clamoroso errore di valutazione: l’elezione di Villari avvenne a seguito di un numero infinito di tentativi pro Leoluca Orlando e fu possibile grazie alla convergenza tra la maggioranza e una parte dell’opposizione.
Per intenderci: quella convergenza fu favorita dagli eccellenti rapporti esistenti tra lo stesso Villari e Italo Bocchino che oggi firma la lettera di rimozione coatta per un presidente di commissione legittimamente eletto.
La lettera firmata dai quattro responsabili dei gruppi parlamentari del PdL ha naturalmente delle ragioni: cerca in primo luogo di fluidificare i rapporti con il Pd e poter così procedere alla nomina del nuovo CdA della Rai superando lo stallo attuale.
Si tratta comunque di uno sbaglio. Se eleggere Villari qualche settimana fa è stato un errore (lo è stato?), la responsabilità è soltanto di chi lo ha materialmente reso possibile (la maggioranza) e di chi lo ha reso necessario (Veltroni) insistendo pervicacemente su un’ipotesi impraticabile. Solo a frittata fatta, infatti, l’irriducibile leader del Pd ha cercato un’intesa con il PdL avanzando l’ipotesi di Zavoli che poteva essere presentata (e accettata) dal PdL fin da giugno, senza creare imbarazzi alla maggioranza e disastri all’opposizione.
Veltroni però ha voluto tenere duro sul nome del dipietrista Orlando. Ha provato a giocare pesante e si è fatto male.
Assistendo da anni al comportamento dell’attuale opposizione è facile prevedere che una volta sostituito Villari con Zavoli il Pd proseguirà nell’accettare i diktat di Di Pietro e nell’opporsi a tutte le soluzioni coraggiose che occorrerà ben presto assumere per salvare il salvabile a viale Mazzini.
Nei giorni scorsi, prima della plurifirmata lettera sul caso Villari, un autorevole esponente del PdL, il vice presidente vicario della Vigilanza Giorgio Lainati, aveva avanzato dalle colonne del Messaggero una proposta in grado di salvare la capra di Veltroni e il cavolo di Villari: procedere immediatamente alla elezione di Sergio Zavoli, non già alla presidenza della commissione bicamerale ma direttamente alla presidenza della Rai. La soluzione, probabilmente, avrebbe accontentato Zavoli, Villari e tutta l’opposizione.
Si è scelta, a quanto pare, un’altra strada. Vedremo dove condurrà. Intanto, a giudicare dal destino che si profila per Villari, sembra che Palazzo San Macuto, sede della Commissione di Vigilanza, sia tornata ad ospitare il tribunale della Santa Inquisizione che lì si trovava ben quattrocento anni or sono.
La notizia di questi giorni è che il PdL si sarebbe deciso a favorire la rimozione di Riccardo Villari dalla presidenza della commissione. Una rimozione che, come ha avuto modo di spiegare molteplici volte il costituzionalista Paolo Tesauro (e non solo lui), non ha alcun fondamento nel diritto, nei regolamenti parlamentari e tanto meno nella prassi.
Tuttavia non si può non fare i conti con la lettera firmata da Cicchitto, Gasparri, Bocchino e Quagliariello che imprime alla vicenda una svolta politica ma che sembra contenere un clamoroso errore di valutazione: l’elezione di Villari avvenne a seguito di un numero infinito di tentativi pro Leoluca Orlando e fu possibile grazie alla convergenza tra la maggioranza e una parte dell’opposizione.
Per intenderci: quella convergenza fu favorita dagli eccellenti rapporti esistenti tra lo stesso Villari e Italo Bocchino che oggi firma la lettera di rimozione coatta per un presidente di commissione legittimamente eletto.
La lettera firmata dai quattro responsabili dei gruppi parlamentari del PdL ha naturalmente delle ragioni: cerca in primo luogo di fluidificare i rapporti con il Pd e poter così procedere alla nomina del nuovo CdA della Rai superando lo stallo attuale.
Si tratta comunque di uno sbaglio. Se eleggere Villari qualche settimana fa è stato un errore (lo è stato?), la responsabilità è soltanto di chi lo ha materialmente reso possibile (la maggioranza) e di chi lo ha reso necessario (Veltroni) insistendo pervicacemente su un’ipotesi impraticabile. Solo a frittata fatta, infatti, l’irriducibile leader del Pd ha cercato un’intesa con il PdL avanzando l’ipotesi di Zavoli che poteva essere presentata (e accettata) dal PdL fin da giugno, senza creare imbarazzi alla maggioranza e disastri all’opposizione.
Veltroni però ha voluto tenere duro sul nome del dipietrista Orlando. Ha provato a giocare pesante e si è fatto male.
Assistendo da anni al comportamento dell’attuale opposizione è facile prevedere che una volta sostituito Villari con Zavoli il Pd proseguirà nell’accettare i diktat di Di Pietro e nell’opporsi a tutte le soluzioni coraggiose che occorrerà ben presto assumere per salvare il salvabile a viale Mazzini.
Nei giorni scorsi, prima della plurifirmata lettera sul caso Villari, un autorevole esponente del PdL, il vice presidente vicario della Vigilanza Giorgio Lainati, aveva avanzato dalle colonne del Messaggero una proposta in grado di salvare la capra di Veltroni e il cavolo di Villari: procedere immediatamente alla elezione di Sergio Zavoli, non già alla presidenza della commissione bicamerale ma direttamente alla presidenza della Rai. La soluzione, probabilmente, avrebbe accontentato Zavoli, Villari e tutta l’opposizione.
Si è scelta, a quanto pare, un’altra strada. Vedremo dove condurrà. Intanto, a giudicare dal destino che si profila per Villari, sembra che Palazzo San Macuto, sede della Commissione di Vigilanza, sia tornata ad ospitare il tribunale della Santa Inquisizione che lì si trovava ben quattrocento anni or sono.