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Casini e la condanna di Mannino

Pierferdinando Casini da alcune settimane  va dicendo, come se fosse un  Marco  Travaglio qualsiasi, che la legge proposta dalla maggioranza per stabilire una ragionevole durata del processo è devastante per la giustizia.
Qualunque persona di buonsenso si può rendere conto di come questa affermazione sia del tutto infondata. Come diceva Calamandrei, per qualunque galantuomo il processo è già una pena; e quando quel processo nasce in una strategia giudiziaria di persecuzioni politiche la pena si raddoppia.
Non è difficile sostenere, inoltre, che ad essere devastante per la giustizia è l’irragionevole durata dei processi italiani, tanto che il nostro paese vanta un  poco invidiabile primato di condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, proprio per la straordinaria durata dei processi.
I magistrati assoldati nell’Amn, che costituisce essa stessa un obbrobrio antigiuridico, sostengono a difesa dei loro torti che i processi penali sono irragionevolmente lunghi a causa della penuria di mezzi finanziari e di risorse umane nei tribunali. Peccato che l’alibi non regga difronte all’evidenza delle prove. Come ha ben documentato Stefano Livadiotti, giornalista dell’Espresso non del Predellino, nel suo libro Magistrati.L’ultra casta, la giustizia italiana ha a disposizione più risorse e più persone di quella francese, ad esempio, ma ci mette il doppio del tempo a decidere una causa rispetto ai magistrati transalpini. Se un processo dura un’infinità di tempo è perché nella maggior parte dei casi un errore formale, che nel diritto penale è sostanziale, compiuto da un magistrato rende nulle le udienze e costringe ai rinvii: è stato calcolato che un’udienza penale in Italia dura in media 18 minuti, giusto il tempo di sedersi, aprire il fascicolo, constatarne la nullità, aprire l’agenda e fissare un’altra data. Naturalmente nessun magistrato risponde di queste inefficienze e del danaro pubblico che butta dalla finestra.
Ora accade che Lillo Mannino sia stato accusato di essere mafioso ben 17 anni fa; che per questo sia stato incarcerato, espulso per un lungo periodo dalla vita politica e esposto alla pubblica opinione come uno tra i peggiori criminali. Qualcuno dopo la sua assoluzione ha l’ardire di sostenere che, chi mette in luce la barbarie che si è consumata ai danni di Mannino, dovrebbe anche prendere atto che Bettino Craxi debba essere considerato un criminale per via di condanne definitive da parte della magistratura, come dire, se si considera giusta la sentenza nei confronti di Mannino allora è giusta quella nei confronti di Craxi. A parte la strana analogia tra due casi che in comune hanno solo la persecuzione politica che li ha originati, c’è nei sostenitori di questa tesi una visione fanatica e fideistica dell’ordine giudiziario e dei suoi appartenenti che supera di gran lunga il dogmatismo della Chiesa cattolica, la quale afferma l’infallibilità del Papa e non di ogni prelato o curato. Ciò detto, la grande ingiustizia nei confronti di Mannino sarebbe stata identica anche nel caso di una sua condanna. Ciò che è incivile è che il processo sia durato 17 anni, ed è incivile indipendentemente dal suo esito.
E dunque, caro Casini, è devastante fissare per legge che un processo non possa durare più di 12 anni o non lo è per la giustizia, per la democrazia, per la libertà che un processo duri 17 anni?
Certo è comprensibile che chi fa la politica dei due forni nelle alleanze, pensi anche di fare la politica dei due forni sul processo: si al legittimo impedimento del premier no al processo breve, ma, questa strumentalità figlia della peggiore politica politicante, condanna Lillo Mannino a dire che egli non è vittima di ingiustizia. Il che è evidentemente quanto di più falso si possa affermare (www.ilpredellino.it).

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