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CARCERI E RECUPERO DEL DETENUTO: L’OPINIONE DI COSIMO FERRI (MAGISTRATURA INDIPENDENTE)

Il problema del carcere e la sua funzione in un ordinamento moderno non può essere affrontato con il vecchio armamentario ideologico del carcere come “discarica sociale” (espressione risalente agli anni ’70), né con strumenti ispirati da considerazioni di tipo sociologico. I “vecchi” pensieri non possono che condurre alle “vecchie” soluzioni che come è sotto gli occhi di tutti non hanno portato da nessuna parte. L’approccio deve essere quindi tecnico e non ideologico o “politico”, e mirare a rimedi possibili e praticabili nelle condizioni attuali, non a utopiche soluzioni che non tengono conto del dato di realtà. Il problema del carcere ha due aspetti: quello connesso alla sua ragione di esistere come strumento di  esecuzione di una pena (di una misura cautelare); e quello delle condizioni in cui questa pena è concretamente espiata.
Sul primo problema: è ovvio che la pena detentiva deve essere considerata quale extrema ratio. Quindi è certamente vero che occorre rapidamente adattare la risposta penale a questo principio, che coincide con il dato di realtà che le risorse per gestire e concludere un processo penale (giudici, cancellieri, etc.) sono poche quindi devono essere utilizzate con oculatezza. Ma questo non deve significare il depotenziamento del deterrente costituito dalla pena, perché ciò significa che lo Stato abdica ad una sua funzione essenziale che è quella di garantire la sicurezza e la tranquillità dei cittadini prima di ogni altra cosa. Questo è il valore supremo che giustifica il patto da cui nasce lo Stato. Ciò si traduce concretamente nell’esigenza che la pena detentiva sia riservata ai casi più gravi (delitti di allarme sociale) ma che sia certa ed effettiva.
Per arrivare a questo risultato occorre sviluppare il ricorso massiccio a pene pecuniarie (come avviene a es. in Germania). Il lavoro di pubblica utilità non decolla perché non ci sono i fondi per le convenzioni assicurative e previdenziali e per la scarsità dell’offerta. Non può essere la soluzione. Il problema delle pene pecuniarie è che è difficile eseguirle. Ma qui occorre assegnare agli enti locali territoriali la competenza ai fini dell’esazione delle pene, assegnando loro il ricavato. Occorre sviluppare anche lo strumento dell’espulsione: il problema del sovraffollamento è legato soprattutto all’alta percentuale di detenuti stranieri che non hanno risorse all’esterno e quindi non possono fruire di misure alternative. Non ha senso quindi intervenire con la pena detentiva su questi soggetti, per i quali ben difficilmente si può ipotizzare un percorso di reinserimento sociale sul territorio nazionale. Il ricorso alla detenzione domiciliare o agli arresti domiciliari è anch’esso utopistico se guardato come la soluzione al sovraffollamento: presuppone infatti assenza di pericolosità e prima di tutto la disponibilità di un domicilio effettivo e idoneo. Quanti detenuti stranieri, quanti tossicodipendenti possono contare su una tale soluzione esterna? Pene pecuniarie quale strumento sanzionatorio ordinario e espulsione quale regola per l’esecuzione nei confronti di soggetti stranieri se realizzate porterebbero ad un calo significativo e soprattutto duraturo della popolazione carceraria.

*   magistrato 

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