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“Bettino”, come voleva essere chiamato

L’ingiustizia più grande, quando si parla di Bettino Craxi, è cercare di complicare il ragionamento, come fa la maggior parte della sedicente “sinistra”, nella speranza di riuscire a convincere gli italiani su un Craxi come un Dr. Jekill negli anni ’80, e un Mister Hide negli anni ’90: un grande politico, corrotto e delinquente.
Craxi era uno, un Uomo, secondo l’accezione del suo maestro Pietro Nenni: “Cosa cara è l’uomo, quando è Uomo”.
Quell’Uomo si ritrova quando, sfidando il suo partito, fu decisivo per l’installazione degli euromissili, l’unico deterrente che costrinse i sovietici a ritirare gli ss20 puntati verso un’Europa attonita e impotente, ma anche quando si stagliò sul Parlamento quel silenzio che seguì al suo “buona parte del finanziamento ai partiti è irregolare o illegale, ma non credo ci sia nessuno in quest’aula, che possa alzarsi e dire il contrario”. Bettino (come, da socialista, voleva essere chiamato da chiunque lo fermasse per strada) non era ancora inquisito, non aveva ancora “provato sulla pelle lo squadrismo”, come ebbe a commentare l’episodio delle monetine al Raphael, ma aveva in mente il quadro generale: quello di un attacco mirato alla democrazia italiana di cui sentiamo ancora le ferite.
Il Craxi Uomo buca ancora lo schermo in quella cerimonia con le esequie di Moro ancora calde, in quella chiesa, nell’ormai lontano 1978. Guardatele quelle immagini: troverete tutta la classe dirigente italiana dell’epoca, Berlinguer compreso, con il capo chino a vergognarsi per avere condannato a morte Aldo Moro per un unico obiettivo: mantenere in vita quello sciagurato compromesso storico. Solo Craxi, in quella chiesa, ha la testa alta, addolorato dalla morte di un Uomo ma consapevole di aver fatto tutto il possibile per salvarlo.
L’Uomo è lì, ma è anche al Raphael il giorno delle monetine, quando si rifiutò di uscire “da dietro” come il Prefetto di Roma gli aveva chiesto.
Troverete anche un Craxi garibaldino quando impedì agli Stati Uniti di violare la nostra sovranità nazionale a Sigonella, ma lo troverete anche nella frase “Tornerò in Italia solo da uomo libero, altrimenti non vi tornerò…né da vivo, né da morto!”.
Lo stesso semplice Uomo, nel 1985, incalzato dai giornalisti sulle sue possibili dimissioni da Premier nel caso in cui avesse perso il delicatissimo referendum sulla Scala Mobile, rispose, senza esitare, che le avrebbe presentate “un minuto dopo”. Era il Bettino Craxi che dall’esilio si preoccupava più delle giovani generazioni (“Qual è il futuro che si fa intravedere a questi giovani? E’ un grande interrogativo. Devono fare presto ad assumersi responsabilità”), che della sua vicenda (“Io non sono mica qui a difendere un posto, un’ambizione, io sono qui per difendere la mia persona, la mia vita”).
Cosi come l’Uomo che si sentì riferire, da Lech Walesa, eroe della lotta del popolo polacco contro il regime sovietico, “Valeva la pena lottare perché ci sono ancora uomini come Lei nel mondo”, diede un secca e brutale risposta al suo amico Francesco Cossiga, che cercava solamente di salvargli la vita. Erano ad Hammamet, nelle ultime settimane prima di morire. Cossiga lo esortò, disperato e rassegnato: “Dillo a cosa servivano quei conti all’estero! Dillo a tutti che hanno contribuito alla lotta per la libertà del popolo palestinese, cileno, polacco, cecoslovacco, argentino, greco, spagnolo, portoghese…”. Craxi lo guardò come stupito di una domanda tanto ingenua quanto in buonafede: “Io non posso mischiare le mie vicende giudiziarie…con grandi lotte di libertà nel mondo”.
C’è l’Uomo anche negli errori, quando non si accorse della basezza di molti suoi compagni, così come quando credette che i comunisti potessero cambiare e diventare una grande forza riformista: “Insomma, gli Uomini sbagliano, la vita è fatta anche di questo, e quando non è fatta anche di questo è falsa, o è vuota”.
L’Uomo è fatto anche di istinto, e di brusche reazioni. Negli anni ’70 disse, adirato per l’atteggiamento troppo amichevole tra il Divo Giulio e Berlinguer: “Andreotti? Dicono che è una volpe…c’è un proverbio che dice…presto o tardi tutte le volpi finiscono in pellicceria”. Quello stesso Uomo lo rivediamo su un strada periferica di Roma, nel 1993, fermo al semaforo e insultato pesantemente dal finestrino della sua auto da due giovanotti in moto: Bettino non si scompone, scende e mostra il suo metro e novanta, si avvicina e sferra un gancio, in pieno volto. Poi, con calma, risale in macchina e si allontana, come un qualsiasi ragazzino pieno di entusiasmo, di convinzioni e passione, che ha portato il nostro paese fuori dalla subalternanza dovuta alla sconfitta in guerra, e che è morto esule, come il suo mito giovanile Garibaldi, il 19 gennaio 2000.

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