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Attori o religiosi: chi si approfitta della crisi?

Abdel Baset Hamouda è un cantante nazional popolare egiziano abile nell’interpretare e nel comunicare il mood degli egiziani. Le strofe della sua canzone “Non mi riconosco più” che ha avuto molto successo l’anno scorso, recitano più o meno così: “Non mi riconosco più. Non sono più me stesso, questo non sono io. All’improvviso sono invecchiato. Questo shock mi ha distrutto. Mi ha fatto piangere e pensare se veramente questa è la fine, la fine della mia storia”. La canzone si riferisce alla crisi d’identità che, secondo l’autore, stanno vivendo milioni di egiziani. La crisi economica, il deficit di creatività cultuale e di libertà sociali – politiche sono talmente accentuate che hanno addirittura sfibrato i tratti tipici degli egiziani come il senso dell’umorismo, l’ottimismo, la generosità, il romanticismo.
“Le persone sono depresse Presidente. Non ridono più”, scrive l’attore Ahmed Helmi nel film “Scusi per il Disturbo”. Nel film, il personaggio interpretato da Helmi scrive delle lettere di protesta al presidente del suo paese, che nel film è visto come un leader incapace di intercettare lo stato d’animo depresso e le condizioni di sofferenza della sua gente. La classe dirigente, la corruzione, la povertà sono i responsabili della depressione che, in base alle stime dello psicologo egiziano Ramez Taha, ha colpito 16 milioni di egiziani su 78. Se l’anno scorso prima della crisi così tanti egiziani erano depressi, qual è la condizione del paese a un anno dalla crisi che ha colpito tutte le economie mondiali?
Oltre all’alta inflazione, i bassi stipendi e la disoccupazione, gli ultimi dati economici indicano un paese sull’orlo di una crisi di nervi. Rispetto al flusso di affari registrato alla fine del 2008, gli introiti del canale di Suez sono scesi da 163.000 mila dollari al giorno a 18.000. Il turismo nella terra dei faraoni, pur essendo sulla carta una fonte di guadagni anti ciclica, non è immune alle crisi globali: le prenotazioni negli alberghi nel Sinai sono la metà rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Al Cairo il turismo è sceso del 40% e le crociere sul Nilo hanno registrato una diminuzione di clienti del 30%. Secondo The Middle East Report, un mensile specializzato sul Medio Oriente, sono calate drasticamente le rimesse degli egiziani dall’America, dall’ Europa e molti egiziani che lavorano negli Emirati stanno ritornando in patria. L’unica buona notizia viene dal commercio con l’estero. Il volume di affari con la Cina ha raggiunto i 5300 miliardi di dollari, un aumento del 44% rispetto allo scorso anno. La solita notizia invece, riguarda lo sfogo del ministro degli investimenti Mohmoud Mohieldin che in marzo, in una conferenza a New York, ha seguito il protocollo arabo che è sempre impeccabile quando c’è da evidenziare le responsabilità degli altri e di esimersi dal fare un po’ di sana e costruttiva autocritica: “Voi americani avete iniziato questa crisi, ora diteci quello che volete fare”, ha detto Mohieldin davanti alla business community americana.
Mentre a tempo di record e in pochi giorni dal suo insediamento alla Casa Bianca, l’amministrazione Obama ha votato uno stimulous plan senza precedenti nella storia, che cosa ha fatto invece l’amministrazione Mubarak che detta regole e leggi quasi da 30 anni? In gennaio lo Stato ha annunciato un pacchetto di stimoli di 5.000 miliardi di dollari, che poi è stato raddoppiato in marzo. I fondi, secondo un’analisi di Middle East Report, finanzieranno infrastrutture mirate nelle zone rurali. Le piccole e medie imprese riceveranno prestiti a bassissimi interessi. Per le industrie tessili e automobilistiche sono previste incentivi speciali.
Non sembrerebbe un piano faraonico. “Ma sarà il piano della svolta” ha detto Heba Handoussa, uno degli autori che nel 2004 ha redatto l’Egypt Human Development Report . “Siamo sull’orlo della distruzione o sul consolidamento della coesione sociale. La crisi economica può accelerare la distruzione. Le cure per la malattia della crisi possono invece consolidarla”. Se la politica egiziana non approfitta della crisi economica globale per fare le riforme necessarie, ci penseranno altri a trovare i rimedi per curare la depressione degli egiziani. Questa volta non saranno né attori né cantanti a capitalizzare sull’infelicità della gente. Questi saranno gli esponenti della Fratellanza Musulmana. Secondo il World Values Survay, il 98% degli egiziani crede fortemente in Dio e rispetta gli ulema e gli imam più di quanto rispettino gli intellettuali, l’esercito, i giudici nelle corti, i professori universitari e i politici. Lo slogan “Islam is the Solution” vanta un grande appeal sulla società egiziana. Molti egiziani vedono nella religione l’unica cura per se stessi e per la società. Ma invece di prenderla a piccole dosi, molti di loro sono vicino a un’overdose.

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