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I giovani del primo maggio

Sono strambi, i ragazzi del primo maggio. Questa massa informe e confusa di giovani che si strattonano da un capo all’altro di piazza San Giovanni in Laterano. Sembra un quadro di un folle pittore del puntinismo. Una visione. Ma da vicino si notano i particolari. E da dentro li si vivono con coscienza. O forse, oserei dire, con incoscienza.
Perché i ragazzi del primo maggio non sono più come quelli di una volta. Non sono i sessantottini. Non sono perbenisti. Non sono nemmeno conformisti. Sono una contraddizione vivente: non hanno valori, può darsi, ma cantano tutti in coro, intonano canzoni che si rifanno a un’ideologia, che magari non è nemmeno la loro ideologia, ma lo fanno, e urlano a squarciagola, perché tutti nel gregge fanno così.
Non sono conformisti ma hanno tutti felpona e all-stars. Ognuno ha la sua individualità, sono tutti diversi, ma non li si distingue l’uno dall’altro. Vedi ragazzine di quindici anni coi piercing sulla lingua, che si baciano irriverentemente con le loro coetanee. Un ubriaco che salta su una pensilina malferma e sventola la bandiera del Che a torso nudo. Ragazzi stravaccati su cessi di plastica che si incurvano sotto il loro peso. E tutti con una birra in mano e una kefiah al collo, simbolo della nuova gioventù di sinistra, che vive imbrigliata nel consumismo e che poco conosce della storia.
Eppure bisogna accettarli, questi giovani del primo maggio, perché alla fine anche loro si innamorano, anche a loro brillano gli occhi quando Vasco sale sul palco, anche loro vorrebbero cambiare le cose ma non sanno come. Giovani come noi, giovani tanto diversi da noi. Giovani in contraddizione ma, in fondo, giovani.

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