
Sicuramente il calcio, lo ricorda la storia degli ultimi 20 anni, ha già pagato caro i suoi eccessi e le sue follie. L’assenza di scelte economiche ponderate ha portato, dopo gli iniziali fasti, a un ridimensionamento del giocattolo e ad un paradossale impoverimento di questo sport. Se non segui l’antica logica dell’investimento, se ti affidi ad assurde plusvalenze e se i buchi di bilancio diventano pericolosamente una routine, è inevitabile cadere giù.
Per questo l’Uefa sta studiando interventi tesi a razionalizzare le risorse dei club (tra cui il famoso tetto salariale). Ma francamente appare utopico poter interferire direttamente nei conti delle grandi società. E forse anche ingiusto. Dato che in condizioni di libero mercato dovrebbe comunque essere garantita libertà d’azione.
In realtà, è tutto il sistema calcio che necessita di una bella e profonda opera riformatrice. Se l’obiettivo è quello di risanare i bilanci e riportare equilibrio tra le squadre, occorrerebbe innanzitutto omologare o comunque avvicinare i regimi fiscali dei diversi paesi che prendono parte alle competizioni europee. Se la Spagna può ancora oggi beneficiare di importanti agevolazioni, questo danneggia sicuramente le dirette concorrenti e non aiuta a mettere ordine. L’ideale sarebbe creare un sistema fiscale – e più in generale economico – caratterizzato da poche e ben definite regole, valido per le federazioni calcistiche dell’intero vecchio continente. Che non pone restrizioni, ma obbliga a rispettare dei precisi parametri. In modo da garantire trasparenza ed equità. Senza intaccare però l‘autonomia dei club.