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RAPPORTO CEPEJ 2010: IL COMMENTO DI COSIMO FERRI (MAGISTRATURA INDIPENDENTE)

Il rapporto Cepej 2010, nel comparare i dati europei, evidenzia alcuni punti essenziali del nostro sistema giustizia.
Contrariamente a quanto si pensa, il livello e le modalità di valutazione dei magistrati italiani non sono inferiori a quelli di molti paesi europei. La scelta, unica nel panorama europeo, di procedere ad un esame a campione dei provvedimenti del magistrato ed il progetto per la creazione di un sistema di indicatori di efficienza, rappresentano la dimostrazione che la magistratura italiana ha superato le tradizionali diffidenze e sta adottando soluzioni che coniugano una valutazione efficace, le necessarie garanzie per l’indipendenza e l’autonomia dei singoli magistrati e della magistratura e la doverosa attenzione alle aspettative dei cittadini.
I problemi della giustizia non dipendono infatti dalla presenza dei magistrati in ufficio, tanto più che la riforma dell’ordinamento giudiziario è ben chiara nel prevedere che tutti i magistrati, ogni quadriennio a decorrere dalla data di nomina fino al superamento della settima valutazione, siano sottoposti a valutazione di professionalità. Ciò a significare che le verifiche riguardanti la capacità, la laboriosità, la diligenza e l’impegno dei magistrati ci sono ed è bene che siano sempre più efficaci (è prima di tutto interesse di chi svolge con dedizione il proprio lavoro), nel rispetto dei parametri oggettivi che sono indicati dal CSM.
Il CSM sta peraltro accuratamente valutando la produttività dei magistrati, intesa come numero e qualità degli affari trattati in rapporto alla tipologia degli uffici, alla loro condizioni organizzative e strutturali, ai tempi di smaltimento del lavoro, avendo nominato un’apposita commissione che possa stabilire quali debbano essere gli standard di rendimento per ogni singola funzione.
L’assiduità e la puntualità nella presenza in ufficio e nelle udienze deve continuare ad essere, come è oggi, regolata dall’organizzazione e dal controllo che spetta ai capi degli uffici (che dovranno segnalare eventuali disfunzioni ed assenze dei magistrati). E’ però ben noto – ci tengo a sottolinearlo – che la maggior parte dei magistrati lavori di sabato e di domenica, ed occupi parte del proprio tempo libero a scrivere provvedimenti  e a combattere con carenze logistiche e di mezzi, spesso supplendo e/o limitando gli effetti negativi di enormi carenze organizzative.   
Il cittadino-utente si tutela attraverso la salvaguardia della professionalità del giudice e non già attraverso la burocratizzazione. In un contesto come quello attuale, contraddistinto da una domanda di giustizia sempre più crescente e con la anomalia di essere il paese con il più alto numero di avvocati, la Costituzione attribuisce la giurisdizione non a dipendenti funzionari o burocrati, ma a magistrati autonomi e indipendenti in grado di assicurare l’attuazione dei diritti in modo professionalmente adeguato. Il magistrato deve avere la possibilità non solo di rendere un servizio in tempi rapidi ma anche in modo qualitativamente elevato: non una decisione a ogni costo, ma una decisione giusta.     Non si può trascurare un altro dato di fatto estremamente allarmante quale quello dell’impatto che i ritardi e le disfunzioni dei processi civili e penali hanno sulla economia del Paese, determinando un grave costo per il sistema Italia anche sotto il profilo degli investimenti internazionali verso la nostra nazione.
L’inefficienza della giustizia italiana – come ha ricordato in un suo recente intervento anche il Governatore della Banca D’Italia – pesa infatti moltissimo anche sulla crescita economica.
Nel processo civile, le principali vittime di questa situazione di inefficienza non sono le grandi aziende, che normalmente utilizzano l’istituto dell’arbitrato, ma sono invece le piccole medie imprese. Si è infatti giustamente osservato che l’attuale situazione di crisi del sistema giudiziario arrivi a rappresentare un ostacolo allo sviluppo del sistema economico soprattutto per le nuove imprese, le quali preferiscono limitarsi a firmare contratti con aziende che conoscono e che garantiscono affidabilità.       
Un recente rapporto realizzato da un importante istituto bancario ha evidenziato che in tema di ostacoli alla crescita delle piccole e medie imprese l’inefficienza giudiziaria pesa per il 12% collocandosi dopo la sola burocrazia. La concorrenza asiatica incide sulla crisi solo per il 2% e l’inefficienza infrastrutturale per il 7%.
Secondo uno studio della commissione tecnica della finanza pubblica del Ministero dell’Economia la somma che lo Stato potrebbe essere costretto a pagare per l’irragionevole durata dei processi a seguito di condanne per la Legge Pinto ammonterebbe a circa 500 milioni di euro l’anno.
Tutto questo deve fare riflettere il legislatore, gli operatori del settore e ciascuno dei soggetti che sono chiamati a confrontarsi sui delicati temi in materia di giustizia, affinché davvero si arrivi ad avviare, o meglio a riprendere, quel confronto in modo che sia, sì sempre franco, ma allo stesso tempo alieno da contrapposizioni puramente ideologiche e da logiche di pura fazione; che sia cioè contraddistinto da un clima, come si è registrato qualche rara volta nel passato, che veda le parti, pur nella doverosa distinzione di competenze e responsabilità, proiettate a convincersi l’un l’altra sulla qualità di ciascuna propria proposta piuttosto che impegnate nella mera critica delle posizioni altrui. Un tavolo di questo tipo, con tutti i soggetti interessati presenti e tutti impegnati alla ricerca di soluzioni efficaci e condivise, sono certo, renderebbe un notevole servizio al Paese e sarebbe in grado di dare risposte, che peraltro non sono più procrastinabili. 

*Magistrato

 

 

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