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La rivoluzione culturale che tarda ad arrivare

Le recenti aperture di Nicolas Sarkozy verso la sinistra transalpina, pongono nuovi e inevitabili interrogativi. Per i maligni, c’è il solito zampino della premier dame, quella Carla Bruni da sempre vicina a certi ambienti radical chic. Ma le ipotesi sono diverse: per alcuni Sarko vuole mostrare al mondo e soprattutto ai francesi la sua maturità politica, per altri è semplicemente obbligato a strizzare l’occhio a intellettuali ed esponenti politici della fazione avversa per smorzare tensioni sociali che la grande crisi rischia di far esplodere nuovamente.
Sicuramente si tratta di un compromesso che non può non far riflettere. Proprio perché ad architettarlo è colui che solo qualche anno fa era diventato il riscatto vivente della destra europea. L’uomo che avrebbe sdoganato di fatto una cultura politica considerata di serie B – dalla notte dei tempi – nell’intero Vecchio Continente. Proprio lui che aveva avuto il coraggio di criticare, anche duramente, il sessantotto e i suoi effetti sulla società contemporanea. Fu in grado di aprire un dibattito che in parte coinvolse anche i moderati dello Stivale. Adesso, è innegabile, è stato fatto un notevole passo indietro.
L’Italia, si sa, ha un’altra storia, con uno scenario politico assai differente. E da noi di un eventuale compromesso non se ne parla nemmeno. L’accanimento mediatico nei confronti di Berlusconi è stato reso possibile anche dall’abissale distanza che separa l’attuale classe dirigente italiana dall’apparato mediatico e culturale predominante. Ma il cavaliere non sembra affatto disposto a cedere a quegli avversari che, oggi più che mai, dimostrano di essere addirittura più agguerriti e pungenti di quella che dovrebbe essere la vera e propria opposizione.
Dato che la storia si scrive soprattutto con il coraggio, non è certo seguendo le orme del collega transalpino che il nostro premier riuscirà a riscattare definitivamente il centrodestra nostrano, i suoi rappresentanti ed i suoi elettori.
In fin dei conti non è una novità: da sempre il Paese ha convissuto con un forte ed influente movimento culturale che non è riuscito mai ad essere maggioranza numerica e politica. Ma se è sbagliato, come succede ai cugini, cadere nella trappola dei compromessi, è altrettanto pericoloso continuare a vivere con quel complesso di inferiorità che caratterizza da sempre tutta la cultura che si definisce estranea alla sinistra. Il vittimismo, poi,  non aiuta se si vuole almeno provare a ribaltare le cose.
La soluzione? Non è inaugurando rassegne, mostre o festival che si dà un decisivo scossone al sistema. O almeno non basta. Coloro che gestiscono il potere devono semplicemente cominciare a prendere seriamente in considerazione le risorse che provengono dalle nuove generazioni. E nel caso della politica: dai tanto osannati – ma anche un po’ snobbati – movimenti giovanili.
In fondo la cultura è molto più di un libro, un quadro o un film. Secondo la sociologia è un insieme di credenze e valori condivisi da un gruppo sociale in un determinato momento.
Il cambiamento – sembrerà retorica – può solo partire dal basso. Anche anagraficamente parlando.

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