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La Polonia sospesa tra passato e futuro

Il 20 giugno i polacchi saranno chiamati al voto, dopo la terribile sciagura del dieci aprile scorso , quando si è schiantato l’aereo presidenziale polacco e sono morti sul colpo il presidente Lech Kaczynski, il governatore della Banca centrale polacca Slawomir Skrzypek, il vicepresidente della Camera e candidato dell’opposizione alle prossime elezioni presidenziali, Jerzy Szmajdzinski.
I Capi di stato maggiore dell’esercito, marina e aeronautica, alcuni deputati e generali. In tutto 96 persone che rappresentavano l’elite dello Stato. Insomma, in un attimo la Polonia è stata decapitata, ancora una volta, di buona parte della propria classe dirigente. Per un tragico scherzo del destino, la delegazione guidata dal capo dello Stato si stava recando alle cerimonie per il settantesimo anniversario del massacro di Katyn, nel quale la Nkvd staliniana uccise oltre 20mila prigionieri di guerra polacchi: ufficiali, intellettuali e politici vennero assassinati in pochi giorni per volere espresso di Stalin.
Ebbene, nonostante la tradizionale diffidenza con cui i polacchi guardano ai russi, l’incidente di Smolensk ha finito per avvicinare due popoli da sempre – è il caso di dirlo – l’un contro l’altro armati. E d’altra parte non potrebbe essere altrimenti, dato il carattere particolarmente fiero di entrambe le Nazioni.
Inaspettatamente, però, proprio a seguito dell’incredibile disastro aereo, il comportamento di Putin e Medvedev ha colpito profondamente il popolo polacco.
È stato indetto un giorno di lutto nazionale, il film “Katyn” –  che racconta proprio la fucilazione dei quadri dell’esercito polacco da parte dei sovietici durante la seconda guerra mondiale – è stato proiettato nell’ora più seguita da parte della tv di Stato russa e il premier Putin ha deciso di presiedere la commissione d’inchiesta sull’incidente di Smolensk.
Insomma l’atteggiamento di grande rispetto, commozione e vicinanza manifestato dai russi ha avvicinato i due paesi come mai nella storia, al punto da orientare ulteriormente l’opinione pubblica polacca a favore del dialogo con Mosca. Ovvero la linea da sempre promossa dal premier Donald Tusk, leader del partito moderato di governo (“Piattaforma Civica”), contro l’opinione del capo dello Stato tragicamente scomparso, Lech Kaczynski.
‹‹Fa piacere scoprire un volto umano in persone che non pensavi potessero averne uno››, ha scritto nel blog del giornale “Gazeta Wyborcza” un lettore polacco. Questa frase commovente riflette meglio di altre il sentimento prevalente oggi in Polonia. Per questo è assai difficile credere che la candidatura alle presidenziali dell’ex premier Jaroslaw Kaczynski, fratello del presidente e leader di “Legge e Giustizia”, possa essere premiata dalle urne nonostante l’onda di commozione che in un primo tempo in molti pensavano avrebbero potuto sfruttare.
Vero è che Kaczynski, almeno all’inizio, ha adottato una strategia astuta. Da una parte evita di inasprire lo scontro politico, accentuando una sorta di profilo basso utile a capitalizzare il lutto familiare che lo unisce ai suoi concittadini e dall’altro, attraverso gli esponenti di primo piano del proprio partito, attacca il candidato favorito, Bronisław Komorowski, subentrato come presidente della Repubblica ad interim in qualità di presidente della cosiddetta Camera Bassa, accusandolo di abusare della propria funzione.
Difficilmente però la strategia di “Legge e Giustizia” potrà avere successo. Il candidato del partito di Tusk è inattaccabile da Kaczynski sia per storia personale che familiare. Il presidente ad interim, infatti, discende da una delle casate nobiliari che hanno fatto la storia del Paese: basti a tal proposito pensare che fu proprio un suo parente, il leggendario generale ‘Bor’ Komorowski a guidare la coraggiosa rivolta di Varsavia contro l’occupazione nazista, schiacciata dalle SS e dalla Wehrmacht dopo giorni di combattimento a causa del mancato intervento proprio delle truppe sovietiche, arrestatesi a una manciata di chilometri dalla capitale polacca.
Komorowski è dunque forse l’uomo migliore per contenere perdite di consenso verso destra, in considerazione delle ingombranti candidature di Jaroslaw Kaczynski e di un altro ex premier come  Waldemar Pawlak, espressione del “Partito dei contadini polacchi”, alleato di governo di “Piattaforma Civica”.
Tanto meno impensieriscono le altre candidature. Messosi da parte dopo un annuncio di iniziale disponibilità l’ex presidente Lech Walesa, resta solo l’esponente della sinistra socialdemocratica (gli ex comunisti), Grzegorz Napieralski, sostenuto dall’ex presidente Aleksander Kwasniewski contro l’opinione di una parte consistente del proprio partito. Un sondaggio pubblicato all’inizio della corsa elettorale vedeva inchiodato il portacolori della sinistra polacca ad un misero 5%.
Chi è allora Komorowski, probabile futuro presidente? Appartenente ad una famiglia aristocratica proveniente dalla regione lituana del Regno di Polonia, il presidente ad interim fu un oppositore tenace della dittatura comunista mettendosi in luce come editore del giornale “Parola Generale” e finendo anche in prigione perché avverso al regime. Attivo nel sindacato Solidarnosc, partecipò dopo il 1989 ai governi di centro destra con ruoli importanti fino a rivestire il ruolo di ministro della Difesa.
Sempre direttamente impegnato con ruoli politici anche di rilievo, Komorowski è sempre stato un passo dietro a figure che hanno segnato la recente storia democratica del Paese: da Tadeusz Mazowiecki a Jerzy Buzek: fino appunto a Donald Tusk. A giudicare però dai sondaggi, che lo accreditano come vincitore, è in grado di rappresentare meglio di altri il ruolo di Capo dello Stato e dunque di unire la vivace società polacca.
Una società, come è noto, contrassegnata da una profonda fede nel Cattolicesimo. A questo proposito è interessante notare come, a differenza di ciò che è accaduto per anni e ancora accade nel nostro Paese, la Conferenza episcopale polacca non intervenga nel voto. Al di là delle simpatie di alcuni vescovi per uno dei due candidati più rappresentativi, infatti, l’atteggiamento del clero polacco è di sostanziale neutralità che viene rotta solo raramente per segnare il rispetto della prevalente e vivissima tradizione cattolica.
Tra gli argomenti più dibattuti durante la campagna elettorale di un Paese così tanto legato all’Italia (siamo il secondo partner commerciale dopo la Germania, prima di Francia e Usa e Unicredit è il più grande gruppo bancario privato) è naturalmente l’economia. Va detto che la Polonia non ha praticamente risentito della crisi economica. Il Pil è cresciuto nello scorso anno dell’1,8% e nel 2010 è attesa una crescita del 2,7%. Tantomeno i polacchi possono essere impensieriti dalla stabilità dei conti pubblici.
La Costituzione della Repubblica polacca, così come modificata nel 1997, vieta che il debito pubblico superi il 60% del prodotto interno lordo e, qualora ciò avvenga, dispone di assumere misure atte a risanare i conti dello Stato. Ciò fa sì che il debito pubblico si collochi attorno al 50% del Pil. Insomma, i polacchi stanno molto meglio di cechi, slovacchi e ungheresi, per non parlare della situazione difficile delle repubbliche baltiche, con particolare riferimento alla Lettonia.
Nonostante ciò la classe dirigente polacca si misura, come quella dei altri grandi Paesi europei, con la necessità di operare tagli alla spesa in un clima generale di austerità che duri almeno fino al 2011. Logico quindi che economia e politica estera, rapporti con Stati Uniti, Unione europea e Russia siano al centro del dibattito politico e che, soprattutto il rapporto con la Federazione Russa, sia oggetto di dibattito anche dopo il primo e il secondo turno delle elezioni presidenziali.
Per Jerzy Chmielewski, ambasciatore polacco in Italia: ‹‹Le relazioni  tra la Polonia e Russia sono già adesso un derivato dei rapporti della Russia con l’Unione Europea e la Nato, di cui la Polonia fa parte. Il fatto che la catastrofe si sia verificata sul territorio russo e nei pressi di Katyń è pura casualità. Ciò nonostante l’impatto simbolico di questo avvenimento è fortissimo, quasi evangelico, tantoché convince il popolo russo a compiere un gesto che il Ministro degli Affari Esteri polacco, Radosław Sikorski, ha definito “una svolta psicologica”, mentre nei Polacchi suscita l’impulso di tendere la mano in gesto di riappacificazione.
La vera risposta a questa domanda, la porterà il futuro››. La Polonia va al voto con due volti: quello moderato, giovane, dinamico, aperto al mondo dell’impresa e alle relazioni internazionali che vota Komorowski e quello più anziano, tradizionale e ultraconservatore che vota Kaczynski (da Formiche Ed. giugno 2010).

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