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La leggenda degli uomini straordinari

C’era una volta l’Arancia meccanica. C’erano Cruijff e gli anni 70. Decennio di rottura, di trasgressione, di protesta e voglia di libertà. Non poteva che essere l’Olanda, sul campo, il simbolo migliore della ribellione.  Con quel rivoluzionario e arrogante calcio totale, con quei irriverenti capelli lunghi: zero regole fuori dal prato verde, tante – e addirittura indecifrabili – dentro. Persino il colore di quelle magliette aderenti sembrava un insulto al buon gusto e alla tradizione. Un pugno nell’occhio che di certo non scoraggiava una nuova generazione che cresceva col mito e col fascino di una squadra bella e maledetta: per ben due volte a un passo dal cielo. Seconda ai mondiali del ’74 e del ’78. Forse ingiustamente, probabilmente una coppa se la meritava. Era giusto conferirle almeno un premio al coraggio e alla fantasia.
Oggi, luglio 2010, in Sudafrica c’è un’altra Olanda. Bruttina e benedetta. Poco spettacolare e fortunata. Praticamente agli antipodi. I capelli stavolta sono corti e ai meno fortunati (vedi Robben e Sneijder) non restano nemmeno quelli.
Forse in finale, battendo per ultimo l’Uruguay, ci arrivano sempre gli stessi. Gli incredibili eroi di un trentennio fa: sempre loro, ma stavolta cresciuti, maturati. Con meno estro e più razionalità. L’Olanda di oggi non vive più sulla Luna, è una squadra ordinata e difficile da affrontare. E’ finalmente (o purtroppo) diventata europea. Con tutti i limiti e i vantaggi.
Solo due cose collegano l’odierno sogno arancione alla vecchia leggenda degli anni ‘70: il colore della maglia e una spiccata personalità.
Potrebbero pure bastare. Nostalgici e sognatori, vecchi e nuovi, sono pronti a sperare. Perché in fondo c’è un po’ di Olanda in ognuno di noi.

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