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Joumana Haddad: quando la femminilità araba non è femminista

“Sono una donna. Credono che la mia libertà sia di loro proprietà, ed io glielo faccio credere”. E’ un verso di una poesia scritta da Joumana Haddad, scrittrice, poetessa, giornalista libanese che la scorsa settimana è stata ospite dell’associazione culturale Arabafenice di Milano per presentare il suo ultimo libro, una raccolta di poesie: “Adrenalina”.
E’ stata più di una tipica presentazione di un libro. La performance di Joumana è stata anche un incontro con uno spaccato della donna araba che i media occidentali spesso ci fanno credere essere di proprietà dei loro uomini e succube dei tabù arcaici di una parte del mondo arabo. Il lavoro di Joumana, il suo linguaggio, la sua adrenalina, la sua visione della vita vi farà ricredere. Responsabile delle pagine culturali del quotidiano libanese An Nahar, amministratrice del premio letterario arabo Booker, membro del comitato del libro e della cultura presso il ministero competente, autrice di libri e poesie, Joumana Haddad è anche la fondatrice e editor in chief di Jasad, una rivista trimestrale in arabo fondata due anni fa specializzata nelle arti e nella letteratura del corpo. La rivista è distribuita in tutto il Libano, un successo editoriale di tutto rispetto se pensiamo che il magazine raggiunge soprattutto le zone del paese dei cedri più conservatrici. “Infatti”, ha detto Joumana, “il picco di vendite in Libano è nei quartieri di Hezbollah; l’Arabia Saudita invece, è il paese con il più alto numeri di abbonati a cui Jasad arriva tramite corriere internazionale in busta che copre l’immagine di copertina”.
Jomana è il prodotto di un paese arabo particolare dove una donna in minigonna e una con il velo si rispettano e non tentano di influenzare i rispettivi stili di vita. “La libertà del Libano”, ha detto il moderatore della serata, il giornalista libanese Camille Eid, “è incarnata da Joumana”. Anche in un mondo liberale come il Libano però, la libertà ha frutti ancora acerbi. Joumana concede che nel suo paese non è considerata una poetessa normale. Ovvio: le piace provocare ( in modo sano e mai gratuito, ha voluto sottolineare), affrontare temi tabù come quelli che approfondiscono il rapporto col corpo, il desiderio, l’amore, l’erotismo. “Però non mi sono mai sentita in pericolo perché il pubblico della poesia è ristretto. Quegli (testuali parole) scemi che fanno la censura non mi temono perché il nucleo degli appassionati di poesia è piccolo. Sarò pure una vigliacca in altre faccende, ma non quando si tratta di scrivere. Sono pazza e ostentata, questa è la mia salvezza”.
E’ reattiva Joumana. L’idea della rivista Jasad, che in arabo significa corpo, è il risultato della sua reazione nei confronti di uno strano processo culturale linguistico del Libano. “Due anni fa avevo voglia di iniziare un progetto editoriale sulla cultura ma anche su qualcosa che mi appassionava, perché senza passione sono vuota. Siccome il corpo è l’universo dentro il quale si muove la mia lingua poetica, ho fatto una rivista sui linguaggi e sulla letteratura del corpo. Ma c’è anche un’altra ragione che si riconduce a una mia frustrazione. La lingua araba è stata castrata di una cosa importante, del suo vocabolario del corpo e dell’erotismo. Questo è un processo contemporaneo. La tradizione letteraria araba vanta molte opere che trattano il tema dell’erotismo. Per cui avevo voglia di vendetta, perché qualcuno ha maltrattato la mia lingua privandola di termini, di vocaboli e di temi che rientrano nella sfera della sessualità e in quella dell’erotismo. Il mio paese vive una schizofrenia sul corpo. La gente dice certe cose solo in privato. Anche alcune donne che collaboravano al progetto non erano convintissime perché non avevano le palle di scrivere certe cose. Ed io non ho persmesso a loro di firmarsi con degli pseudonimi. Tutto questo ha generato la mia rabbia. E’ ora di chiamare le cose con i loro nomi. Sono stanca delle metafore, della comunicazione non diretta”.
Parole di una femminista? No. La penna di Joumana esprime una sensualità che non scade nella volgarità e una femminilità che non lascia spazio al femminismo. Pur affrontando temi “profani”, il sacro è trattato con rispetto. “Non sono una femminista. Sono una funambola sul filo dell’arte. So che cadrò, ma so che mi risolleverò. Una persona che si arrende al proprio destino è una persona che mi ferisce. Io voglio realizzare i miei sogni. Sono cresciuta in una famiglia tradizionale. Mia mamma diceva che io sono nata stufata.”
E in effetti Joumana è stufa di tante cose però reagisce, è curiosa, ha voglia di libertà. Sopratutto crede nei valori umanistici del mondo arabo ed è persuasa che la libertà sia un valore intrinseco alla sua cultura. Secondo il suo paradigma la libertà è il frutto di un processo di emancipazione culturale: “La libertà la si acquista prima nella testa, poi nelle’espressione e poi nelle azioni. La letteratura non politically correct aiuta ad essere liberi”. Di politica e di religione non ne ha voluto parlare tanto. “Quello che vediamo oggi nel mondo arabo sono solo incidenti. Certe situazioni e certi protagonisti non ci rappresentano. Con Dio poi, ho un rapporto complicato. Litighiamo spesso. A livello sociale le religioni,(Joumana è cristiana) hanno fatto cose terribili. E’ il desiderio che fa muovere le montagne. Non la fede”.
Adrenalina doc made in Arabia (Da il Sole 24 Ore).

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