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I mondiali e quel sogno chiamato Italia

No, non sono solo canzonette. Non è solo calcio. Riduttivo parlare di “sport”. C’è dell’altro. E tanto di più. Ai mondiali scendono in campo tutti. Vecchi e bambini, casalinghe disperate e fidanzate annoiate. Non solo mariti e ragazzini, non solo gli appassionati, quei tifosi che vivono di pallone e basta, di moviole, sfottò, esultanze e imprecazioni.
L’Italia è l’Italia. L’azzurro è il colore di tutti. Anche di quelli che gufano o che fanno finta di non fregarsene. Pensano solo di essere più furbi degli altri. Ma poi, se il carro comincia a vincere, con le solite piroette ci saltano su.
E’ il mondiale, bellezza. Un evento, un rito sacro dei nostri tempi. Partite che uniscono il popolo più della festa della repubblica o della liberazione. In quei casi, se il meteorologo acconsente, si va tutti fuori porta. Quando gioca la nazionale no. Si resta a casa, o al massimo al bar col gruppetto di amici. Facce dipinte, maglie poco conformi all’originale, birre, patatine, sigarette e il caro vecchio tricolore alla finestra. Dibattiti sulla formazione, critiche al cittì e commenti delle donne ai primi piani del divo italico di turno. Sempre tutto secondo copione.
Manca pochissimo alla nuova avventura. E, ancora una volta, c’è pessimismo. Prevalgono dubbi, paure, storici complessi d’inferiorità. Il buon Marcello Lippi ci ha messo del suo, lasciando a casa tutta la fantasia possibile: da Cassano a Balotelli, da Miccoli a Totti. Passando per l’ultimo escluso di lusso Borriello. Inevitabili quindi i malumori, soprattutto se si pensa ai vari Messi, Cristiano Ronaldo, Kakà, Rooney e Torres che noi non abbiamo e gli altri sfortunatamente sì.
Ma, come premesso, l’Italia è l’Italia. Si è sempre divertita a ribaltare i pronostici e a sorprendere il mondo. Lo ha fatto proprio quattro anni fa in Germania. Tra chi, convinto di offenderci, ci ricordava di essere camerieri e pizzaioli. Superando le bufere di Calciopoli e infine la Francia che tanto ci invidia e poco ci ama.
Il cielo, parafrasando Civoli, è stato azzurro sopra Berlino. Ora appaiono per noi buie e misteriose le notti africane.
E mentre Cannavaro e compagni sul campo proveranno a smentire un destino che sembra anche stavolta segnato, il Paese continuerà a litigare, a correrre, soffrire, ridere e inventare.
C’è una crisi che rende tutto più difficile ma anche più avvincente. C’è una nazione che prova, fra mille contraddizioni, a dare il meglio di sé e a fare l’atteso salto di qualità.
La spinta decisiva potrebbe darla anche quel pallone che rotola. Perché il calcio è speranza e passione. E noi italiani, si sa, piangiamo, ci disperiamo, ci lamentiamo. Ma in fondo non smettiamo mai di sognare.

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