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Cultura, “Vicina la rivoluzione liberale”

Sandro Bondi è il punto di riferimento dell’area ex Fi nel Pdl. Si è guadagnato nel tempo un ruolo di precursore di strategie, di uomo fiducia del leader. È il politico che Berlusconi spende nei momenti critici. Nel frattempo lavora – silente ma operoso – al ministero della Cultura.
Ministro, l’aggressione al premier ha fatto comprendere che si è oltrepassato il limite. Come può l’Italia ritornare un Paese civile?
Dobbiamo tutti abbassare i toni. Spetta però anzitutto alla sinistra cessare un’inutile campagna diffamatoria contro il premier. Non è nostra abitudine usare toni aggressivi. E’ necessario un riequilibrio tra i poteri; il veto imposto dalla magistratura contro molti provvedimenti dell’esecutivo o del legislativo esorbita le sue normali funzioni. Inoltre, trovo inaccettabile, penso ad Annozero con la presenza del pm Ingroia, che la magistratura tenti di influenzare l’opinione pubblica. Il potere giudiziario non può e non deve trascendere le proprie funzioni: applicare la legge, non discuterla o interpretarla.
La Lega si avvantaggia di un Pdl appare paralizzato dagli scontri interni. Come vede la situazione interna al partito, soprattutto dopo le prese di posizione di Fini e finiani?
La Lega è un partito con una politica coerente e un leadership mai messa in discussione. Il lavoro sul territorio, perfino senza mezzi di comunicazione adeguati, ha condotto a risultati incredibili, che fanno della Lega un movimento ormai di respiro nazionale. La Lega dimostra come la politica possa essere condotta ancora con strumenti classici, prescindendo da velleitarismi movimentisti tipo NoBday, dal successo solo effimero. Sul Pdl voglio ricordare che è un partito nato da neppure un anno, con una leadership autorevole, un partito che deve ancora mettere a regime quei meccanismi di funzionamento che possano regolare i conflitti interni e valorizzare le linee di minoranza come quella espressa da Fini e dal suo think tank.
Nelle settimane scorse si è indignato per il “pregiudizio politico ostinato” di certi artisti, che finisce per essere “un odio cieco e atavico che li strugge”. Poi c’è stato lo scontro con Salvatore Settis e, ancora precedentemente, lo sgarbo di Umberto Eco. C’è un problema tra il ministro – che pure è un intellettuale -e la stragrande maggioranza degli intellettuali e degli artisti?
Un uomo di cultura, come preferisco definirmi, deve essere in grado di dialogare anche con l’avversario. Chi dimostra pregiudizi ideologici può essere considerato un uomo colto, ma non di cultura. Aborro dagli intellettuali e dalla definizione di “intellettuale”, un residuo novecentesco per definire chi, non essendo libero, ha messo a disposizione di qualcuno il proprio intelletto. Gli altri, gli uomini liberi, pensano con la propria testa, amano il dubbio e il confronto, odiano ideologie e pregiudizi. Sfuggono dalla retorica, vizio che invece ammorba tanti nostri pseudo artisti.
A poco meno di 2 anni da quando si è insediato al ministero, che risultati può vantare?
Una riforma del ministero epocale, con l’istituzione di una nuova direzione (affidata al manager Mario Resca, ndr) per l’effettiva valorizzazione del nostro patrimonio. Poi aver introdotto alcune norme per la gestione dei fondi da attribuire al vasto mondo della cultura. Vorrei che in tutti i settori, a partire dal cinema nel quale è stato introdotto il sistema di tax credit e tax shelter, i fondi fossero assegnati non direttamente, ma attraverso sistemi di defiscalizzazione. Pagare direttamente la cultura significa tenerla asservita, renderla schiava del potente di turno. Invece i sistemi di defiscalizzazione aumentano la libertà, liberando energie e sinergie pubblico-privato. Portando a termine questo impegno, la cosiddetta “rivoluzione liberale”, almeno nel contesto culturale, sarebbe compiuta.
(da il Clandestino)

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