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Ciro Balboa, forse era meglio lasciare

Ciro non molla. Ciro vuole ricordare a tutti di essere un guerriero. In campo era tra quelli che lottavano fino alla fine, che subivano gravi infortuni e poi ricominciavano. Ignari delle difficoltà e del dolore.
Tiene duro anche in panchina, Ferrara. Nonostante questa Juventus. Troppo brutta per essere vera. Una vecchia signora che è l’esatto opposto dello spirito ostentato ai microfoni dal suo giovane allenatore. Domenica col Milan è apparsa per l’ennesima volta stanca, arrendevole. Quasi demotivata. Senza un po’ di mordente e rabbia. I bianconeri, storicamente, vendono cara la pelle. Hanno conquistato montagne di trofei grazie alla determinazione, a quel carattere da sempre punto di forza della squadra più titolata d’Italia. Oggi invece è distratta, sonnolente in difesa e timida in avanti. Un disastro, che si spiega anche con la evidente regressione dei suoi uomini migliori. Due su tutti? Amauri e Diego. Il primo non sa più segnare, il secondo è più bravo a dribblare se stesso che gli avversari. Persino uno come Melo, acquistato in estate a furor di popolo, non sa fare male. Già, proprio lui: considerato a Firenze un gladiatore. Uno di quelli alla Gattuso, che non fa ragionare le squadre altrui e fa respirare la propria. Non pervenuto. Amen.
Ecco quindi il punto dolente: le parole di Ciro, tra l’altro persona seria ed educata, si perdono subito nel vento di questa interminabile tempesta juventina.
Forse, dato l’andazzo, era meglio nasconderli i muscoli che mostrarli. Meglio evocare l’umiltà che il mito dell’indistruttibile Rocky. Ci sono momenti in cui gettare la spugna è un valore. E mettersi da parte pure. Rimanere, a tutti i costi, legati alla panchina, non sempre paga. Più che un gesto di coraggio, può apparire come testardaggine. Incapacità di leggere la cruda realtà.
Ora la parola, come da copione, passa alla società. E soprattutto al campo. Per capire se Rocky ha deciso finalmente di passare dal microfono ai fatti.

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