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Che delusione Michela Murgia!

Classe 1972, dieci anni più dei miei. Un libro, il primo, un successo enorme che diventa il soggetto di un film di Virzì. Come non stimare e ammirare Michela Murgia? Un giorno – all’epoca scriveva una rubrica per il mensile di cui ero caporedattrice – mi capita di pranzare con lei e il suo fidanzato in una trattoria del centro di Roma: è anche simpatica. Le faccio i miei complimenti. È il momento del suo secondo libro e sceglie la narrativa di viaggio: è anche coraggiosa, è vero che è edito da Einaudi ma rimane pur sempre un genere che non va a ruba sugli scaffali delle librerie. Alla fine il premio Campiello. Entusiasta, corro a leggere le notizie che la incoronano vincitrice indiscussa e scopro con enorme piacere che la scrittrice ha dedicato il premio a Sakineh. “Brava Michela, doppia bella figura per noi donne!”, penso. Ma l’apprensione per la donna iraniana, che per il momento ha patito 99 frustrate (parecchie di più di quelle inflitte a Gesù Cristo) e rischia la lapidazione, è durata il tempo di una notte. La mattina dopo la brava Murgia aveva dimenticato i diritti umani per dedicare tutta la sua “passione” alla difesa della collega Silvia Avallone, “vittima” (?) di un apprezzamento (?) del conduttore Bruno Vespa al suo decolté: «Quando c’è di mezzo una donna, si va sempre a parare sul corpo. Non importa la sua intelligenza, non importa se viene festeggiata, premiata, perché ha scritto un libro importante. Tutto si svilisce, si riduce alla carne. .. In altre tv d’Europa, a un conduttore non sarebbe permesso di comportarsi così».  Non si tratta solamente di semplice solidarietà femminile (non richiesta, peraltro, visto il disinteresse totale della giovane Avallone), la vincitrice del Campiello ha cavalcato l’onda del successo dando inizio ad una intemerata rancorosa (e sospetta) sulla questione del corpo femminile che su un articolo apparso il 6 settembre su Il Fatto quotidiano la spinge a scrivere: «L’uso del corpo femminile come pubblico demanio, come pascolo aperto allo sguardo gratuito di chiunque,  è un atto offensivo verso tutti e tutte per il contenuto di violenza che si porta dietro. La violenza non è solo nello schiaffo, è soprattutto nel pensiero di sopraffazione, nell’uso di un potere per disporre dell’altro a proprio gusto, nel zittire la sua lamentela invocando il senso dell’umorismo, nel cercare di far passare per complimento la riduzione di una persona intera al suo corpo o a parte di esso, piegata a decoro televisivamente strumentale». Perché è così arrabbiata? Ce lo svela qualche riga dopo: «Impossibile non vedere le analogie tra la naturalezza con cui Vespa ha domandato l’ostensione fisica della Avallone all’occhio della telecamera e le frasi di Silvio Berlusconi a Rosy Bindi». Finalmente è tutto chiaro: la vera intemerata, che va avanti da quel giorno glorioso, Michela Murgia la conduce contro Berlusconi. È proprio vero: successo e celebrità danno alla testa. Se la scrittrice sarda pensa che il Cavaliere sia «illiberale» e se è convinta che «voglia mandare via gli scrittori di sinistra dalle sue case editrici per pubblicare tutto quello che gli pare» perché invece di godersi la vita con gli anticipi che Einaudi le ha dato per scrivere secondo e terzo libro, non ha continuato a pubblicare con Isbn edizioni, editore del suo primo romanzo? Non sarà che tutta questa improvvisa dedizione alla causa femminile nasconda il desiderio di raccogliere l’invito che la scrittrice turca Elif Shafak, in un’intervista al Corriere, ha rivolto alle donne, ovvero entrare in politica? Michela, un consiglio: perché non sfrutti la tua celebrità tra le giovani donne per raccontare le storie di chi come Sakineh viene offesa e umiliata ogni giorno per davvero, invece che fare battaglie di facciata per sfogare un’incontinente ideologia politica nobilitata da veterofemminismo take away?

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