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Cronache ungheresi/ I carri economici di Bruxelles contro Budapest

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Scritto da vocealta

bandiera_tradizionale_ungheriaGiorno dopo giorno quanto sta accadendo contro l’Ungheria assume contorni sempre più rilevanti ed emblematici per descrivere e capire l’intera crisi dell’Unione europea. Una crisi che, come quasi sempre accade, è prima culturale e politica e poi economica. Da qui l’idea di queste “Cronache ungheresi”, per riferire periodicamente un punto di vista diverso da quello prevalente negli organi di informazione che ormai confondono fatti con pregiudizi, realtà con propaganda, destra e sinistra, ideali e principi con ideologie, regimi con democrazie. Questa settimana c’è una importante e per certi versi drammatica successione di eventi che interesserà gli ungheresi. Martedì prossimo l’Ecofin sospenderà, a quanto pare, il 29% degli impegni dei fondi di coesione per l’Ungheria a partire dal primo gennaio 2013. Sarebbe la prima volta che accade. L’Ungheria viene colpita dalla sanzione, ufficialmente, perché non ha rispettato gli impegni sul deficit pubblico che, però, sono assai difficili da centrare in un periodo di ristagno economico come l’attuale. La scelta di far scattare la sanzione dal 2013 è presentata con uno scopo: se nel frattempo il governo ungherese prenderà le azioni correttive necessarie l’Ecofin potrà decidere a maggioranza qualificata di «sospendere la sospensione» dei fondi.

Si tratta in realtà dell’ennesimo attacco ad un governo, quello guidato da Viktor Orban, colpevole di aver dato l’avvio ad una serie di grandi riforme sotto il segno della sovranità nazionale magiara e dell’autonomia decisionale dell’esecutivo di Budapest. Sempre martedì l’Ecofin approverà una raccomandazione all’Ungheria sulle misure da prendere immediatamente per portare il deficit pubblico sotto il 3% del prodotto del Pil, un risultato per la verità raggiunto nel 2011 ma, secondo la Commissione e l’Ecofin, ciò sarebbe stato ottenuto attraverso il ricorso «in misura prevalente di provvedimenti una tantum che ammontano a oltre il 10% del Pil».

La verità è che a Bruxelles l’attuale governo di Budapest non è affatto simpatico, anzi. È proprio indigesto. L’esecutivo guidato da un anti comunista di razza come Orban, che ricopre tra l’altro il ruolo di vice presidente del Ppe e non è affatto un dittatore sudamericano come viene rappresentato, è inviso all’establishment che fa il bello e il cattivo tempo in Europa perché ha cambiato la Costituzione del suo Paese come aveva promesso ai suoi elettori in campagna elettorale e, disponendo della maggioranza dei due terzi in Parlamento, ha provveduto a introdurre alcuni elementi che destano scandalo nei club esclusivi della capitale belga:

1. Il diritto alla vita del concepito, dunque il no all’aborto, in un Paese in cui il 40% dei feti è abortito;

2. Un controllo democratico sul potere giudiziario;

3. Un rivisitazione in senso restrittivo delle norme che regolano l’autonomia della Banca centrale magiara, il cui governatore negli anni ha reso possibili i passi falsi in campo economico compiuto dalla coalizione di socialisti e liberali che hanno fatto esplodere il rapporto deficit Pil dal 53 all’80% prima che Orban venisse rieletto premier.

È essenzialmente per questo che carri armati sovietici, pardon, carri economico finanziari dell’Unione europea marciano speditamente contro Budapest. Ora per il 15 marzo, in occasione della festa nazionale ungherese e a poche ore di distanza dalla misura punitiva dell’Ecofin, oppositori di Orban annunciano di scendere nuovamente in piazza. Al di là dei numeri scarsi che hanno sempre contraddistinto le manifestazioni contro l’attuale governo, la protesta sarà funzionale al quotidiano tiro al piccione contro il Paese di Santo Stefano.

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