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Anniversari / Nel 1963 la tragedia del Vajont

Vajont
Scritto da vocealta

VajontAlle 22.39 del 9 ottobre 1963 un’enorme frana di roccia di circa due chilometri quadrati di superficie e 260 milioni di metri cubi di volume, da anni in movimento sulle pendici del Monte Toc, dietro la diga del Vajont, tra il Friuli e il Veneto, precipita nel sottostante lago artificiale sollevando un’onda di 230 metri d’altezza e 50 milioni di metri cubi di materiale solido e liquido in sospensione. La metà (circa 25-30 milioni di metri cubi) di questa massa enorme scavalca la diga, abbattendosi nella sottostante valle del Piave, provocando la distruzione di cinque paesi situati presso lo sbocco del torrente (Longarone, Pirago, Rivalta, Villanova, Faè) e mutando radicalmente la geografia della zona. I morti sono 1908 (di cui 1450 solo a Longarone), a cui vanno aggiunti i 10 caduti sul lavoro durante gli anni di costruzione della diga.

«Quell’evento non fu una tragica, inevitabile fatalità, ma drammatica conseguenza di precise colpe umane, che vanno denunciate e di cui non possono sottacersi le responsabilità». Così il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato in occasione del 50/o anniversario del disastro del Vajont. Il disastro che il 9 ottobre 1963 con i quasi 2000 morti sconvolse l’area del Vajont e «suscita sempre una profonda emozione per l’immane tragedia che segnò le popolazioni con inconsolabili lutti e dure sofferenze. Il ricordo delle quasi duemila vittime e della devastazione di un territorio stravolto nel suo assetto naturale e sociale induce, a cinquant’anni di distanza, a ribadire che quell’evento non fu una tragica, inevitabile fatalità, ma drammatica conseguenza di precise colpe umane, che vanno denunciate e di cui non possono sottacersi le responsabilità», dice Napolitano nella sua nota e prosegue: «Nella ricorrenza del 50 anniversario del disastro, desidero rendere omaggio alla memoria di quanti hanno perso la vita, alla tenacia di coloro che ne hanno mantenuto fermo il ricordo e che si sono impegnati nella ricostruzione delle comunità così terribilmente ferite e rinnovare, a nome dell’intera nazione, sentimenti di partecipe vicinanza a chi ancora soffre».

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