Politica

Ricordando Paolo Emilio Taviani

Taviani
Scritto da vocealta

TavianiIeri sono andato alla biblioteca della Camera dei Deputati per cercare un volume sull’esploratore del Nuovo Mondo, Cristoforo Colombo. Ho dunque chiesto alla dipendente del servizio Biblioteca se avesse testi a firma di Paolo Emilio Taviani sul navigatore genovese. Dopo un’iniziale risposta negativa («Non abbiamo nulla su Cristoforo Colombo», sic!), la signora ha detto: «Beh, riproviamo con una ricerca per autore, mi diceva che cercava un volume scritto dai fratelli Taviani?». Rispondo: «Cara signora, non le ho chiesto un libro di Paolo ed Emilio Taviani, anche se i due celebri registi si chiamano Paolo e Vittorio, ma dell’onorevole Paolo Emilio Taviani, deputato all’Assemblea Costituente, più volte ministro e senatore a vita della Repubblica, scomparso nel 2001. Do you know?». No, she doesn’t know. Roba da matti? Mica tanto! È per questo che A voce alta pubblica la testimonianza sentita e forte con la quale Claudio Scajola ha recentemente ricordato Paolo Emilio Taviani, statista, storico ed economista italiano. Buona lettura!

Andrea Camaiora

Il mio ricordo di Paolo Emilio Taviani parte lontano nel tempo e s’intreccia a valori profondi, familiari e pubblici, acquisiti in un ambiente dove l’impegno civile, era ed è, una comune tradizione consolidata.

Lo dimostra l’amicizia con mio padre Ferdinando che lo scelse come mio padrino di Cresima. Il nostro rapporto andò consolidandosi, in seguito all’improvvisa morte di mio padre nel 1961, quando avevo solo 13 anni. Fu così che quella autorevole figura divenne un fondamentale punto di riferimento per il mio percorso adolescenziale e per il resto della mia vita. Insieme all’affetto che provavo per il Taviani uomo, si andò rafforzando, stima e ammirazione anche nei confronti del personaggio politico, dall’incredibile curiosità intellettuale e dalla fine intelligenza. Agli occhi di un giovane come me, animato da passione civile, Taviani divenne un esempio. Lo ricordo da sempre: mi vengono alla mente i suoi misurati gesti d’affetto, la sua burbera benevolenza, i suoi severi consigli che mi elargì per tutta la vita. Fu lui, grande filatelico, a trasmettermi la passione per i francobolli, che mi regalava nelle occasioni importanti ed erano per noi costruttivi momenti di dialogo.

Non perse mai i pregi che più lo contraddistinsero, quali semplicità e umiltà: vero politico a Roma nel ruolo istituzionale ma persona alla mano nella sua amata Liguria, a Bavari (Genova), nella casa lasciatagli dalla famiglia, dove ritrovava le sue radici. Un uomo coerente che amava gelosamente il suo numeroso nucleo famigliare con Donna Vittoria e i suoi sette figli. La sua storia personale divenne quindi una lezione di vita, perché Taviani è la prova tangibile della possibilità di coniugare l’esercizio del potere con la sobrietà del privato.

A caratterizzarlo, oltre agli studi in Scienze sociali e filosofia, è la geografia. E’ proprio questa materia che lo condurrà agli studi dell’esploratore genovese Cristoforo Colombo, che si svilupparono con la presidenza della Commissione scientifica per l’edizione nazionale della “Nuova Raccolta Colombiana” e l’organizzazione delle celebrazioni colombiane nel 1992. Tutto geografico anche il percorso, nella sua Liguria, non solo caratterizzato dall’attenzione politica per il proprio territorio, ma culturale, con appunti nel tempo raccolti e poi pubblicati nel volume “Terre di Liguria”del 1977.

Un politico che riuscì ad esaltare le particolarità e le bellezze del territorio ligure, a valorizzare i rapporti umani e diretti con le persone, ad elevare il significato di potere in “poter fare” come virtù dell’essere rappresentante del popolo.

Il suo amore per la cultura, l’impegno nella Resistenza, l’attiva partecipazione all’Assemblea Costituente, gli importanti incarichi di partito e di governo, influenzarono, non solo la politica italiana ma sempre di più il mio percorso.

Come Ministro degli Esteri, del Commercio Estero, della Difesa negli anni cinquanta, delle Finanze, del Tesoro, dell’Interno, del Mezzogiorno e del Bilancio, tra gli anni sessanta e settanta, si contraddistinse per numerose prese di posizione di carattere nazionale ed internazionale. Fu un precursore e le sue scelte politiche furono lungimiranti, anche se a volte lo portarono ad assumere posizioni lontane dalla linea di partito. Non accantonò mai i suoi ideali, tanto da decidere, per alcuni periodi, di distaccarsi dalla politica ed accettare solo incarichi istituzionali e non di governo.

Mi recavo da lui di tanto in tanto per chiedergli un consiglio. Nel 1996, per esempio, andai a trovarlo per sapere che cosa poteva suggerirmi circa una decisione che dovevo prendere a breve. Dopo la caduta della Dc, mi stavo candidando ad Imperia con una lista terzo polista. Che fare? Smettere di fare politica o seguire Berlusconi con Forza Italia? Lui mi guardò fissandomi, poi rispose: “Mi pare che quest’ultima sia l’unica scelta possibile”. E’ proprio in seguito a quella scelta che divenni deputato e volle che gli dessi del tu.

Il pensiero di Taviani che mi torna alla mente con maggior commozione, risale all’ultimo giorno che andai a fargli visita. Era lunedì 11 giugno 2001 e mi recai nella sua residenza romana di via Asmara. Non stava bene e lo trovai molto affaticato. Gli volevo dire che stavo per diventare ministro dell’Interno, ma lui mi anticipò. Mi disse che Berlusconi aveva comunicato al presidente Ciampi che l’indomani si sarebbe recato da lui con la lista dei ministri, e tra quei nomi c’era anche il mio. “Ma chi è questo sconosciuto Scajola?”, domandò Ciampi a Taviani. E lui rispose: “Io lo conosco, è mio figlioccio”.

La mia nomina a ministro dell’Interno – la carica che un giorno fu sua – lo commuoveva. Gli passarono alla mente episodi del suo passato al Viminale e per questo decise di darmi insegnamenti utili al percorso che stavo per intraprendere. Mi spiegò come i prefetti siano “le figure fondamentali della Repubblica. Mi raccomando, sceglili bene” e sui i fondi riservati del Ministero dell’Interno mi disse: “non gestirli mai direttamente – mi raccomandò – non occupartene”. E proseguì “il Ministro dell’Interno deve avere la piena fiducia del Presidente del Consiglio e la considerazione del Parlamento. Se mai ti dovessi accorgere che uno di questi due elementi cominciasse a scricchiolare, non restare attaccato alla poltrona un attimo in più”. “Saper uscire di scena” mi disse è la cosa più importante di un uomo di Stato”, e non ho mai dimenticato quelle parole.

Dopo aver ascoltato i suoi consigli, che ho messo in pratica in molte occasioni della mia vita, pensando che lo stessi affaticando troppo, feci per alzarmi, ma lui mi trattenne. “Stai ancora un po’, non andartene – mi disse – potrebbe essere l’ultima volta che ci vediamo”. Sei giorni dopo, il 18 giugno 2001, mentre ero seduto sulla poltrona in cui anni prima si era seduto lui, il capo della polizia venne ad avvertirmi che il senatore a vita Paolo Emilio Taviani era spirato.

* deputato, presidente della fondazione Cristoforo Colombo per le libertà

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