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Il Papa a Scalfari: «Cammino comune ai non credenti»

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Scritto da vocealta

eugenio-scalfari-Il confronto con i non credenti è oggi per la Chiesa «doveroso e prezioso»: «è venuto ormai il tempo di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro». Anzi, «questo dialogo non è un accessorio secondario dell’esistenza del credente: ne è invece un’espressione intima e indispensabile».

Papa Francesco «spiazza» nuovamente, e con una lettera al fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, pubblicata oggi con la dovuta, grande evidenza dal quotidiano romano, propone a chi non crede la ricerca comune delle «strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme». Un evento straordinario, ancora una volta «di rottura», la lettera del Papa a un tempio della laicità come la Repubblica – ripubblicata integralmente nel pomeriggio anche dall’Osservatore Romano -, con cui Bergoglio risponde alle domande rivoltegli da Scalfari in due editoriali il 7 luglio e il 7 agosto, e in cui indica tra l’altro ai non credenti come la visione dell’etica cristiana e del «perdono di Dio» non tralasci chi non ha fede: «la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza», scrive il Pontefice. «Il peccato, anche per chi non ha fede – avverte -, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire».

Nella sua argomentazione sui cardini della fede cristiana e sui punti di cammino comune con i non credenti, a partire da quanto indicato già dal Concilio Vaticano II, il Papa punta a superare quello che chiama «un paradosso»: cioé il fatto che il cristianesimo, il cui simbolo è la «luce», sia stato bollato nei secoli come «il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione». Con la conseguente «incomunicabilità» tra la Chiesa e la cultura «d’impronta illuminista». Per Bergoglio, il fatto che Gesù sia «il Figlio di Dio», così come ce lo presenta la fede cristiana, «non è rivelato per marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri: ma per dirci che, in Lui, tutti siamo chiamati a essere figli dell’unico Padre e fratelli tra di noi». Quindi «la singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l’esclusione».

E da ciò deriva anche «quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica» su cui “faticosamente si è costruita la storia dell’Occidente». Secondo il Papa, «la Chiesa è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo, e cioè l’amore e la misericordia di Dio che raggiungono tutti gli uomini», mentre «alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana». Questo, per chi crede, «non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all’uomo, a tutto l’uomo e a tutti gli uomini»: e questo «a partire dalle periferie della storia» tanto care allo stesso Bergoglio, e «tenendo desto il senso della speranza che spinge a operare il bene nonostante tutto e guardando sempre al di là». Il Papa, rispondendo alle domande di Scalfari, si sofferma anche sui «fratelli ebrei», ai quali «non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità». Quindi, in maniera anche inedita, avverte anche i credenti di non parlare di «verità assoluta»: “la verità – spiega – essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa». Proprio a partire da qui si deve uscire «dalle strettoie della contrapposizione» e intavolare un dialogo «sereno e costruttivo».

«La Chiesa, mi creda – dice il Papa a Scalfari -, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non ha latro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù». «Con fraterna vicinanza», è il suo saluto all’interlocutore. «Felici della lettera di Papa Francesco», esulta sull’Osservatore Romano il vice direttore Carlo Di Cicco, perché essa «esprime bene cosa significa appartenere alla Chiesa. Mi sembra che questo testo possa diventare, per certi versi, una sorta di manifesto del Cortile dei Gentili, per i contenuti ma anche per il metodo del dialogo stesso», rimarca alla Radio Vaticana il cardinale Gianfranco Ravasi, «ministro» vaticano della cultura e responsabile della struttura creata sotto Papa Ratzinger per il dialogo con i non credenti.

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