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Diari di Fanfani, quando Adenauer gli mandò 007-Nikita

Diari di Fanfani
Scritto da vocealta

Diari di FanfaniScampati alle fiamme e ai propositi di distruzione del suo autore, i diari di Amintore Fanfani sono finalmente a disposizione di tutti coloro che hanno voglia di scoprire i retroscena della politica italiana del dopoguerra. Fanfani era gelosissimo dei suoi diari. Li conservava chiusi a chiave in uno stipo della libreria di casa, e per evitare che qualcuno li leggesse portava la chiave sempre con sé, nascosta nel taschino del panciotto.

«Questi diari non li leggerà nessuno, li brucerò prima di morire», disse una volta con aria accigliata al suo addetto stampa Ignazio Contu, che aveva osato chiedergli di rivederli insiemi in vista di una eventuale pubblicazione. Per poco il suo proposito non si realizzò per davvero anche se non per mano sua: le fiamme di un incendio scoppiato nel 1999 nella sua abitazione furono spente dai vigili del fuoco quando erano arrivate a lambire la libreria che custodiva le preziose carte: cinque quaderni contenenti le memorie di Fanfani soldato transfuga in Svizzera dopo l’8 settembre e le 38 agende con copertina di tela o cartone su cui l’uomo politico aretino aveva annotato giorno per giorno incontri, viaggi, colloqui riservati con leader politici, resoconti di riunioni.

Nei diari che ora l’editore Rubettino ha cominciato a stampare (si comincia con i quattro volumi che raccolgono il ventennio ’43-’63, altri seguiranno nei prossimi anni) c’è una mole sterminata di fatti che gettano nuova luce sulla politica italiana. La democrazia cristiana emerge una volta di più una federazione di uomini con ispirazioni ideali spesso diverse, se non contrapposte. Un colloquio tra Fanfani e De Gasperi del 1950 rivela i due leader scontrarsi duramente: il primo convinto che lo Stato dovesse mettere le risorse per creare lavoro, il secondo fermo sulla linea del rigore finanziario. De Gasperi obietta: «Ma c’è il bilancio da pareggiare!». E Fanfani: «E’ ora di finirla con questa mistificazione». Ancora De Gasperi: «Ma questo è il New deal…». E Fanfani: «Tu chiamalo come ti pare, ma io ti dico che questo che devi fare…».

Certe annotazioni gettano squarci su un mondo, quello dei leader democristiani di mezzo secolo fa, lontano anni luce dalla politica urlata di giorni nostri. Prudenza, misura e riserbo erano virtù fondamentali. In un incontro dell’8 aprile 1954 De Gasperi dice a Fanfani di aver votato per la Repubblica nel referendum del 1946: «ma lo fece con tanta riservatezza che la moglie, credendo di interpretare il suo proposito, votò per la monarchia». Dalla lettura dei diari si conferma che Fanfani, per la sua visione keynesiana della politica economica e per la sua costante attenzione verso i socialisti (nel tentativo, condiviso con de Gasperi, di staccare Nenni da Togliatti), ebbe qualche noia con gli ambienti più conservatori. Ci sono tracce degli interventi dei cardinali Siri e Ottaviani contro le aperture a sinistra. C’è persino una lettera minatoria: «uno che si dice cristiano – scrive Fanfani – mi avverte che è stato scelto a sorte per farmi fuori».

Negli anni del centrosinistra, le preoccupazioni per la sicurezza di Fanfani coinvolgono il cancelliere tedesco Adenauer. In una nota del 12 aprile 1963 Fanfani registra di essere stato informato che Adenauer ha mandato in Italia un agente segreto (”Nikita”). «Gli ha detto di seguirmi nei comizi della campagna elettorale. Ha aggiunto che se mi avesse in Germania non avrebbe paura della successione, tanto mi crede valido ‘capitano’. Però prevede delicati i prossimi dieci mesi per me e non si meraviglierebbe mi costassero la vita». Non ci sono altre notazioni di questo tipo. Ma il pensiero corre subito a quel «tintinnare di sciabole» di cui avrebbe parlato Pietro Nenni l’anno seguente. I diari mettono in luce una religiosita’ profonda, quasi mistica. Il 7 dicembre ’60, allora presidente del consiglio del primo governo che riceve l’astensione dei socialisti, riporta sul diario un sogno in cui Gesù entra in Parlamento: «Stanotte ho curiosamente sognato che in un impeto di sdegno davo le dimissioni dal governo e mentre uscivo dall’aula è entrato N. S. biondo alto, vestito di celeste, ieratico (…) Mi ha invitato con lo sguardo a tornare al mio posto».

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