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Dammi tre parole: donne, giovani e Sud

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Scritto da vocealta

disDonne, giovani e Sud. Che siano queste le tre parole chiave su cui puntare per far ripartire l’Italia si era capito già qualche mese fa, quando l’Istat ha pubblicato i dati sull’occupazione relativi all’ultimo trimestre del 2010: le percentuali della componente giovane e di quella femminile dei lavoratori del Mezzogiorno non scendevano così in basso da anni. Uno scenario che è stato completamente confermato dal “Rapporto annuale sulla situazione del Paese nel 2010”.

Secondo l’Istituto nazionale di statistica, la crisi economica – da un punto di vista meramente tecnico – è finita e la ripresa sta procedendo ormai dal 2009, seppur lentamente. Il nostro Paese ha il merito di aver mantenuto il rigore sui conti pubblici ma le conseguenze della recessione ci sono anche da noi e sono evidenti da un punto di vista sociale, soprattutto per quanto riguarda i nodi del mercato del lavoro: disparità territoriali, di genere e difficoltà di inserimento dei giovani tra i quali aumentano sempre più gli scoraggiati e coloro che rinunciano alla formazione. Non solo i conti pubblici hanno aiutato il nostro Paese a non sprofondare, un ruolo fondamentale ce l’hanno avuto le famiglie che fanno da ammortizzatori sociali e le donne, che restano il pilastro del “welfare informale”.

L’universo femminile si trova in tutt’altra situazione invece se si prende in considerazione il mondo del lavoro, a dimostrazione che il modello del welfare italiano – come sottolinea il Rapporto – “manifesta in modo sempre più evidente la sua debolezza e l’incapacità di fornire risposte adeguate ai bisogni emergenti”. L’occupazione femminile, infatti, non solo non è cresciuta nell’ultimo anno, ma è peggiorata la qualità del lavoro: è cresciuto il part-time involontario, accade con maggiore frequenza che le donne vengano occupate in mansioni che richiedono una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta, gli stipendi restano inferiori di circa il 20% rispetto a quelli dei colleghi, più di un quinto delle lavoratrici ha lasciato l’attività lavorativa per un motivo familiare. È questo l’ambito che racchiude il dato più difficile da accettare: sono 800 mila le madri (pari all’8,7 per cento delle donne che lavorano o hanno lavorato) che hanno dichiarato di essere state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere a causa di una gravidanza.

Non resta che sperare e credere nel futuro! Peccato che la diffusione del rapporto Istat sia stata preceduta dai risultati di una ricerca Cnr che non racconta nulla di buono quanto a parità nel lavoro. Secondo la demografa Rossella Palomba, nel migliore dei casi bisognerà aspettare non meno di 60 anni ma ci sono ambiti, come la magistratura, in cui si potrebbe ragionare su svariati secoli. Fortuna che, come ammette la stessa ricercatrice, “le soluzioni non sono un compito della statistica”.(da l’ “Avanti!” del 26 maggio 2011)

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