Giustizia Quotidiana

Accusato senza prove e prigioniero nelle Filippine. Prosegue il calvario dell’ambasciatore Bosio

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Scritto da vocealta

daniele-bosioNell’Italia superficiale, l’Italia dell’informazione ossessiva e superficiale, si parla per anni dei Marò e per settimane di Greta e Vanessa ma si finisce col dimenticare i tanti italiani detenuti più o meno legittimamente all’estero, che finiscono così per diventare “prigionieri del silenzio”, abbandonati dal proprio Stato alla mercè della giustizia incerta di questo o quel Paese.

A farne le spese, sono assai spesso servitori dello Stato. È il caso dell’ambasciatore Daniele Bosio, “prigioniero” nelle Filippine a seguito della formulazione di un incerto e barcollante impianto accusatorio. A distanza di nove mesi dall’inizio della vicenda, nonostante la magistratura filippina abbia già riconosciuto che a carico del diplomatico italiano (ex ambasciatore in Turkmenistan) non sussistono «gravi indizi di colpevolezza», l’Italia non è riuscita, come per il più noto caso Marò, a ottenere alcun risultato in favore del nostro connazionale: né l’archiviazione del procedimento, né il rientro in patria in attesa della sentenza e neppure un processo rapido che veda in conclusione Bosio definitivamente prosciolto dalle odiose e infamanti accuse di pedofilia (negate già oggi nelle testimonianze rese in tribunale dagli stessi bambini presunte vittime degli abusi, ndr). Nonostante la riservatezza dell’ambasciatore Bosio e della famiglia, che hanno declinato l’invito a parlare, colpisce il fatto che un cittadino italiano ad aprile 2014 possa essere privato della libertà e infangato e divenga di fatto ostaggio in un Paese straniero senza che si sia svolta ancora neppure un’udienza utile del processo che dovrebbe accertarne responsabilità o innocenza, così come colpisce che in tanti mesi, un Paese come l’Italia che dovrebbe “pesare” qualcosa nel rapporto con le Filippine, basti pensare al fenomeno immigratorio che da quel lembo di Asia porta tanti lavoratori nelle case degli italiani, non riesca a ottenere nulla di concreto, consentendo anzi che si svolgano, come ancora in questi giorni in occasione della visita del Santo Padre, strumentalizzazioni mediatiche che giocano sul prestigioso incarico ricoperto da Bosio che, ironia del destino, ha al proprio attivo, venti anni di cristallina e meritoria attività di volontariato in favore dei minori, da Roma a Tokyo, da Algeri a Manila passando per New York..

Ultimamente la situazione per Bosio si è fatta ancora più delicata. Egli si trova senza uno straccio di stipendio e neppure un documento d’identità (il passaporto gli è stato ritirato dalle autorità filippine, ndr) ed è in attesa che ciò che al processo sia confermato ciò che l’udienza per la libertà su cauzione ha già determinato: non vi sono prove della sua colpevolezza.

Come si legge sul Corriere della Sera del 17 dicembre 2014, «il processo langue e l’accusa – complice la scarsa efficacia o il disinteresse della nostra diplomazia – ha assunto una strategia dilatoria»: infatti il “private prosecutor”, affiliato alla ONG che ha denunciato Bosio, continua a partecipare alle udienze senza alcun titolo legale, nonostante l’opposizione ripetutamente espressa dell’avvocato della difesa, influenzando pesantemente e in senso dilatorio l’atteggiamento del pubblico ministero nel processo. Insomma, il caso tende a ingarbugliarsi ogni giorno di più e urgono interventi decisi da parte del nostro governo. A chiedere un cambio di atteggiamento da parte dell’Italia, anche l’ambasciatore Sergio Romano, che non ha dubbi: «Siamo stati accanto ai due marò quando il governo indiano li ha accusati di omicidio e ci siamo attenuti al principio della presunzione di innocenza. Credo che dovremmo dare prova di coerenza e fare altrettanto nel caso di Daniele Bosio».

 

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