Giustizia Quotidiana

Omicidio Cerciello Rega, assolto in appello il carabiniere che bendò Hjorth. L’avvocato difensore: “Vittima di giudizio sommario senza conoscere fatti”

Scritto da vocealta

Fabio Manganaro, il maresciallo dei Carabinieri accusato di aver bendato in caserma Gabriel Natale Hjorth, uno degli americani condannati per l’omicidio del vice brigadiere Mario Cerciello Rega, è stato assolto in appello perché il “fatto non costituisce reato”. A stabilirlo la prima sezione della corte d’appello di Roma.

In primo grado Manganaro era stato condannato a due mesi per l’accusa di misura di rigore non consentita dalla legge.

Il fatto

Il maresciallo Manganaro era accusato di misura di rigore non consentita dalla legge per aver bendato Hjorth nella caserma di via in Selci a Roma dopo il fermo dei due americani per l’omicidio del vice brigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega, ucciso con undici coltellate nella notte tra il 25 e il 26 luglio 2019 nel centro della Capitale.

Il commento dell’avv. Roberto De Vita

Prof. Avv. Roberto De Vita

In un’intervista al quotidiano Il Giornale, l’avvocato Roberto De Vita, difensore del carabiniere ha commentato l’esito: «Volevamo con l’enorme determinazione che ha animato la nostra battaglia (mia e della collega di Studio Valentina Guerrisi) sin dalla fase delle indagini e ci aspettavamo il ribaltamento della sentenza, tanto era ingiusta la sentenza del Tribunale come riconosciuto dallo stesso Procuratore Generale della Corte d’Appello che ha domandato l’accoglimento del nostro ricorso e l’assoluzione del Maresciallo dei Carabinieri».

«Sin dalle indagini – spiega il penalista – è stato dimostrato e provato che Fabio Manganaro non ha mai utilizzato quella copertura degli occhi come mezzo di rigore, per sottoporre a punizione, vessazione o umiliazione il fermato. Al contrario, come ha dichiarato e scritto fin dal primo momento nella sua relazione di servizio e come poi dimostrato nel processo, ha agito solo in ragione delle inimmaginabili ed eccezionali condizioni in cui si è ritrovato ad operare, per proteggere l’incolumità del fermato e tutelare l’attività investigativa. E la modalità scelta in quel concitato frangente rientra ed è specificamente contemplata in molti paesi dell’Unione Europea oltre che del Nord America».

L’avvocato De Vita non risparmia poi alcune stoccate a chi, nelle istituzioni, si era pronunciato ancor prima del processo: «Il maresciallo Manganaro ha immediatamente subìto una sorta di gogna mediatica in primis dal comandante generale dell’Arma dell’epoca e poi dal premier Conte e da alcuni esponenti politici di sinistra. Purtroppo questo capita a molti indagati coinvolti in casi di cronaca o di politica rilevanti, in cui la condanna da ordalia mediatica non solo nega la presunzione di innocenza ma priva di significato il processo in quanto tale. Il Comandante Generale dell’epoca, il Gen. Giovanni Nistri, forse temendo più il silenzio che la prudenza, condanna ancor prima che si comprenda cosa sia effettivamente accaduto in quella caserma. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte indica persino quanti e quali reati siano stati commessi e sente la necessità di condannare Manganaro addirittura in occasione degli strazianti funerali di Mario Cerciello Rega».

In pochissimi quotidiani è stato dato risalto a questa pronuncia della Corte d’appello. «All’epoca sbagliarono quasi tutti (alcuni in buonafede) e tornare sull’errore ed ammetterlo significa mettere in discussione più che il merito delle valutazioni il metodo seguito, un giudizio sommario senza conoscere i fatti. Ma, d’altronde, accanto ai media furono gli stessi esponenti istituzionali dell’epoca ad utilizzare lo stesso metodo», conclude De Vita.

 

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