Domenica scorsa i cittadini russi sono stati chiamati alle urne per eleggere il Presidente della Federazione, con un sistema a suffragio universale diretto con doppio turno nel caso in cui nessuno dei candidati dovesse raggiungere la maggioranza assoluta dei voti validi. Eventualità, quella del ballottaggio, che tale è rimasta fin dall’inizio di quest’ultima campagna elettorale, a causa dei sondaggi che hanno dato Vladimir Putin saldamente in testa, con le ultime rilevazioni che lo attestavano fra il 69% e il 72% dei consensi. Le urne hanno poi disegnato un successo ancora maggiore per il presidente uscente, che incontra addirittura il favore di più del 76% dei votanti, a fronte di un’affluenza che invece delude, fermandosi appena al 67,4%, in aumento rispetto al 2012 (+2,2%) ma in ribasso rispetto al 2008 (-2,3%).
Se da una parte questa tornata elettorale può sembrare assai scontata, dall’altra i suoi dati offrono ottimi spunti di riflessione per l’analisi della situazione geopolitica dell’ex Unione Sovietica. Ad esempio in Crimea, il territorio attualmente conteso fra Russia e Ucraina, annesso dalla prima a seguito di un discusso referendum, l'ex capo del KGB ha riscosso oltre il 90% dei consensi, segnalando una forte tensione russofila dei cittadini che abitano l’area.
Oltre ai numeri dei vincitori, ci sono anche quelli dei vinti, utili ad analizzare la fioca e poco popolare opposizione che quello che molti definiscono il nuovo Zar di Russia si trova a dover fronteggiare: un solo candidato (oltre il vincitore, chiaramente) ha superato il 10%. È Pavel Grudinin, leader del Partito Comunista, che tuttavia riporta uno dei risultati meno convincenti dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Sul podio troviamo ancora Vladimir Zhirinovsky, leader e fondatore del Partito Liberal-Democratico di Russia, partito della destra populista e nazionalista, attuale vice-presidente della Duma, che ha conseguito il 5,75% dei suffragi. Come questo, anche gli altri sono tutti risultati ampiamente previsti dalle agenzie di sondaggistica, che confermano una democrazia in allarme per carenza di proposte alternative a quella putiniana. Il Presidente si avvia dunque ad un altro mandato, il secondo da Capo di Stato della Federazione, al termine del quale, salvo modifiche costituzionali, non potrà ricandidarsi per la carica.